Carisma e istituzione, movimenti che si autocostituiscono e strutture di governo: si è tornati a discutere ampiamente di questa dialettica nella realtà del tempo che stiamo vivendo. È un nodo cruciale del nostro modo di pensare a come si declina oggi il fenomeno religioso. Ma è evidente che lo stesso problema investe anche l’evoluzione subita dalle forme politiche e si riflette su diverse manifestazioni della mentalità e del costume sociale.



La difficoltà sta nel tenere insieme, per cercare di conciliarle, le due distinte dimensioni. La cultura in cui siamo immersi ci ha abituato a enfatizzare la fluida spontaneità del carisma che attrae e fa fiorire il nuovo, divaricandola dal bisogno di incanalare relazioni e strutture create dai soggetti collettivi dentro sistemi di regole e ordinamenti stabilizzati, che le custodiscano e disciplinino il loro funzionamento. Le radici di questo conflitto affondano, per larga parte, nelle svolte decisive che hanno segnato la storia più recente. Nella società del benessere dell’Occidente più avanzato, in modo sempre più massiccio dalla “rivoluzione” degli anni Sessanta in poi, si è messo in moto un mainstream che ha portato a una crescente accentuazione del valore della libertà creativa e della vitalità autonoma della persona, a esaltare la centralità del suo bisogno, a rimettere in discussione gli schemi gerarchici, la subordinazione a canoni prestabiliti, i vincoli delle tradizioni ancorate ai loro supporti etici e ai loro puntelli giuridici. Dentro e fuori dallo spazio controllato dalle Chiese come grandi apparati istituzionali, è diventato inevitabile che tutto (o quasi tutto) ciò che aveva a che fare con l’ordine, l’autorità, l’adesione a una normativa codificata, si sia lasciato circondare da un alone di negatività, alimentando atteggiamenti di sospetto e fermenti battaglieri di contestazione. Se è “la fantasia” che deve andare “al potere”, allora il potere tende a essere delegittimato nei suoi fondamenti, diventa un peso da rimuovere o da alleggerire il più possibile.



Bisogna riconoscere che c’è stato anche un risvolto positivo nella metamorfosi dei rapporti tra l’io individuale e le strutture di obbedienza che si è verificata nel recente passato. Il potere di governo è sempre tentato di comprimere e dominare. La fedeltà alle regole stabilite può ridursi a una catena che costringe, separandosi dalle motivazioni che dovrebbero sorreggerla. Riabilitare il primato della persona ha esercitato anche una funzione importante di recupero, che ha aiutato a emancipare ciò di cui norme e autorità dovrebbero essere al servizio: la realizzazione del bene, la risposta al desiderio di compimento di ogni singolo essere umano. Ma spingere troppo nell’unica direzione della promozione dell’io personale entra in urto con i legami di appartenenza a un ordine che lo sovrasta. Per salvare l’io, ci si espone al rischio di rompere l’alleanza con ciò che gli dà vita e in cui si innesta lo sviluppo della sua esistenza.



Si tratta, allora, di ricostruire un equilibrio su basi che hanno assunto fisionomie nuove, nella cornice di un orizzonte che, comunque, non può più essere la restaurazione di un passato ormai lasciato alle spalle. Per salvaguardare gli ordinamenti autoritativi non si possono esautorare le autonome volontà di costruzione dal basso, animate dall’energia mobilitante dei doni e delle intuizioni profetiche che irrompono attraverso la testimonianza di chi diventa maestro lungo un cammino condiviso con altri e, così facendo, sconvolge lo scenario degli assetti preesistenti.

D’altra parte, il dinamismo creativo dell’elemento carismatico non può neanche pretendere di mantenersi in piedi senza darsi una impalcatura di sostegno che lo perpetui nel tempo, fatta anche di vincoli liberamente accettati, di deleghe concertate per l’affidamento delle funzioni di guida a chi deve farsi interprete della custodia di una identità da coltivare e di un patrimonio educativo da trasmettere in modo fedele, reinserendoli in un più vasto universo sinfonico, dove la propria identità deve convivere con altri carismi diversi, con altre identità e altre distinte funzioni di governo. La vera sfida è ritrovare, dentro un contesto radicalmente mutato, le ragioni per un possibile incontro fecondatore tra l’energia magmatica del fascino dei carismi e la sua accoglienza nei quadri di una compagine di vita collettiva strutturata secondo precisi meccanismi istituzionali, in vista di una sintesi che non è affatto scontata.

Anche qui, lo sguardo della storia può forse aiutare a non esasperare in un senso di rottura la tensione che esiste tra carisma e istituzione. Se continuiamo a riferirci in primo luogo all’alveo dell’esperienza cristiana, vediamo che la spinta sorgiva dell’entusiasmo primitivo ha subito sentito il bisogno di consolidarsi nelle maglie di un corpo organizzato. Non era un corpo acefalo, senza scheletro. Pian piano sono emerse al suo interno funzioni di guida autorevole, organismi di rappresentanza e assemblee deliberative. La communio è maturata dandosi la natura di societas ordinata secondo gli schemi di un diritto senza dubbio reinterpretato in chiave evangelica, ma che diritto in sé stesso restava.

Ugualmente il contenuto della rivelazione si è configurato come dottrina, sapere teologico, tradizione di pensiero, interagendo con le culture dell’ambiente umano in cui il cristianesimo si irradiava. Persino il nucleo di fondo del culto cristiano ha dovuto essere progressivamente definito nella sua ossatura comune, insieme ai suoi molteplici stili di espressione. Le formule della preghiera collettiva sono state via via codificate. Ha preso consistenza un complesso organico di tradizioni liturgiche e sacramentali. Le sollecitazioni che nascevano dal dialogo con il mondo dello spirito si travasavano in parole umane, in gesti, rituali, segni materiali. Lungo tutta la vicenda dei secoli il fenomeno non ha cessato di riproporsi: fiorivano sempre nuovi impulsi, si configuravano nuovi modelli, si aprivano brecce nell’ordine delle strutture ereditate, ma poi il nuovo, se aveva la forza per sopravvivere, non poteva sfuggire, prima o poi, alla necessità di delimitare il suo impianto e di specificare il suo destino. Si dava un ordine riadattato, fin che si poteva, alla sua misura, generava ulteriori codici sottoposti a regole concordate. Questa è anche la strada attraverso cui hanno dovuto passare i fondatori di ogni nuova forma di aggregazione, gli inventori dei percorsi concepiti per addentrarsi nella foresta della costruzione dei rapporti tra l’uomo e Dio.

Si può dire che l’esigenza di confluire in un ordinamento congegnato in senso istituzionale e regolato da norme vincolanti per tutti coloro che entrano a farne parte è una dimensione costitutiva del fenomeno cristiano, così come è andato affermandosi all’interno della civiltà antica e medievale. Se lo Spirito si fa carne, allora nasce anche la necessità di “imbrigliarlo” dando vita a un corpo comunitario in grado di farne riecheggiare la voce legandola a pratiche umane di controllo, di verifica e di governo affidabile, dentro la concordia di una fraternità in cui ognuno concorre, secondo gradi diversi, a fissare un principio oggettivo di autorità. In senso opposto, resta totalmente vero che il diritto e l’autorità, se rimangono privi della vitalità propulsiva del cuore infiammato dall’ideale e della libertà creativa della fede, si deprimono e finiscono con il decadere a guscio vuoto di una tradizione senza vero contenuto.

Per questo si deve tenere fermo, come insegnava Giovanni Paolo II, che elemento carismatico ed elemento istituzionale, nel loro intreccio reciproco, non sempre pacifico e armonioso, sono entrambi “coessenziali” in una sana economia dell’organismo complessivo dell’Ecclesia. Nella prospettiva di von Balthasar, la stessa verità di fondo veniva anticipata parlando della compenetrazione indistruttibile tra il principio mariano-giovanneo e il principio petrino (l’ordine della carità che fluisce, a fronte del “ministero” di Pietro e delle altre forme di autorità, viste come garanzia di verità e di coesione per la logica primaria della grazia e della fede che vi risponde): “La carità è esplosiva, giunge da tutte le parti, per traverso. I piani del ministero sono fatti saltare e intralciati continuamente da essa. Questo è ciò che soprattutto deve essere amministrato. (…) Al ministero rimane sempre qualcosa da regolare, ma le ultime realtà non potranno essere regolate. E regolare tutto sarebbe la morte della carità e perciò anche la morte della Chiesa, difatti il nocciolo vivo della carità tra il Signore e Giovanni rimane anche il centro della Chiesa” (A. von Speyr, Mistica oggettiva, ed. 1989, p. 183).

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