A molti risuona familiare il nome di Sergio Lucio Catilina, colpevole di aver “abusato della pazienza” di Cicerone, sulle cui “versioni” generazioni di studenti hanno imparato la lingua latina, e non solo, data la sua vasta e variegata produzione. Nel 62 a.C. Catilina, un nobile diseredato, dotato di grande carisma, riuscì a intercettare e convogliare le peggiori forze, il malcontento, l’opportunismo e l’arrivismo, insomma quanti erano “rerum novarum studiosi”, cioè desiderosi di un profondo mutamento, radicale sovvertimento, di una rivoluzione contro l’establishment, come si direbbe oggi, dell’ultima fase della pluricentenaria Repubblica Romana (che presto si sarebbe mutata in Impero). Cicerone era al massimo grado della sua carriera politica ricoprendo la carica di console, le cui competenze riguardavano tutto l’agire pubblico, come in pace così in guerra, insomma tutto ciò che non era prerogativa del Senato e di altre cariche pubbliche.
Allora Catilina tentò di organizzare una congiura, un golpe, un colpo di Stato, ma fu sventato dal decisionista intervento di Cicerone che aveva usato tutto l’armamentario della sua facondia oratoria: “E nel caso in cui solo costui venga ucciso, mi rendo conto che noi saremo in grado di reprimere questa peste per lo Stato per un po’, ma non a reprimerla per sempre”.
Se nella descrizione ciceroniana Catilina è il seme di tutti i mali, il catalizzatore delle forze oscure dello Stato romano, per noi posteri, che siamo edotti dalle orazioni di Cicerone e dalla monografia storica di Sallustio (La congiura di Catilina), il nobile romano diventa la metafora di una pandemia che attacca le istituzioni che sono fondamenta di uno Stato, del suo vivere democratico, secondo uno schema del vivere civile di cui Cicerone era portavoce e paladino (concordia ordinum). “Se invece andrà via” arringa Cicerone i suoi colleghi senatori, che erano esitanti a mettere sotto processo Catilina “e se si porterà dietro i suoi, se metterà insieme nella stessa località tutti gli altri disperati (naufragos) che ha radunato da ogni luogo, non solo non verrà completamente eliminata la peste (pestis) così propagatasi nello Stato, ma neppure la radice e il seme di ogni male”.
Qual è dunque la “lezione” di Catilina come “peste” dello Stato per noi uomini del terzo millennio, alle prese con la pandemia del Coronavirus? La risposta indiretta viene dalla lettura del messaggio del presidente Mattarella inviato 8 maggio 2020 al presidente nazionale della Croce rossa italiana, Francesco Rocca: “Proprio queste circostanze mostrano ancor di più il valore di un movimento internazionale, che grazie alla professionalità degli operatori e al generoso impegno dei suoi volontari reca alla comunità civile un contributo prezioso fatto di assistenza nella malattia, di aiuto concreto di fronte ai bisogni, di sostegno quando la paura e l’insicurezza rischiano di lasciare un segno profondo nella vita delle persone”.
La malattia del coronavirus ha portato alla luce non solo i nodi strutturali delle debolezze del tessuto sociale e economico, i punti nevralgici del sistema statale dell’Italia, ma anche il grande cuore delle italiane e degli italiani nel momento dell’emergenza; ma i peggiori nemici – potenzialmente pericolosi – sono la paura e l’insicurezza che incidono nella vita di tutti noi, soprattutto delle persone più deboli ed emarginate, quelle che Cicerone chiamava i “naufraghi”.
Non mi riferisco dunque ai “naufraghi” dell’Isola dei Famosi, noto reality della tv commerciale. I reali “naufraghi” di oggi, vittime del coronavirus, sono quelli che subiscono le conseguenze più devastanti a livello personale, lavorativo e psicologico, che definire con la sola parola malcontento sarebbe un po’ riduttivo. A Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, vi è un famoso affresco che ritrae una seduta del Senato Romano, opera di Cesare Maccari del 1880. L’artista ha immortalato la scena in cui “Cicerone denuncia Catilina”; e se uno lo osserva bene, vi è un particolare, un dettaglio significativo: Catilina è raffigurato con le mani artigliate. Gli artigli dell’uomo politico senza scrupoli ricorda l’antica favola raccontata dal poeta greco Esiodo (VII a.C.) nelle Opere e i giorni: uno sparviero, tenendo trafitto negli artigli adunchi un piccolo usignolo mentre volava tra le nubi, lo ammonì così, mentre piangeva: “Sei bravo a cantare, ma ora sei nelle mie grinfie e farò di te il mio pasto”.
Non basta dunque superare l’emergenza, ma occorre costruire e individuare per tempo gli avatar simbolici dei “Catilina” moderni che si aggirano come virus per distruggere lo Stato, il vivere civile, l’economia, le fondamenta del nostro stare insieme come comunità e sistema-Italia. Nel momento di maggiore debolezza e criticità, quando insomma dominano paura e incertezza, la migliore lezione di “educazione civica” da dare ai nostri studenti è la riflessione sui valori costituzionali incarnati, per esempio, dalle persone che lavorano per il bene di tutti noi, proprio come le forze dell’ordine e gli operatori sanitari, come la miriade di associazioni di volontariato che danno una mano ai bisognosi.
Fondamentale è poi avere fiducia nelle istituzioni repubblicane in una situazione di emergenza, che lottano contro le forze criminose, capaci di tirare fuori gli artigli per trarre lucro con il sopruso e mezzi illeciti. Diciamolo senza retorica di cui Cicerone era sommo maestro.