Il libro Con la stessa voce. Percorsi di lettura e interpretazione della letteratura di Carlo Bortolozzo (Ares, 2024) ci pone più di una domanda sul tema: a cosa serve la letteratura? Perché continuiamo a studiarla, a insegnarla, a tramandarla ai giovani? L’autore è anche e soprattutto un insegnante di lettere delle scuole superiori, e quindi uno dei più titolati a rispondere a domande che nascono particolarmente in ambito scolastico, da colleghi afflitti da una mancanza di ragioni del loro mestiere sempre più impellente. Non capita di rado che questi dilemmi, interiori e professionali allo stesso tempo, sorgano insieme a dubbi riguardo all’insegnamento di Dante, ad esempio, di Leopardi o Manzoni, figuriamoci di autori minori, la cui necessità talvolta appare davvero inspiegabile. Perché ne vale la pena?



Ne consegue una ricaduta, ovviamente, sull’educazione alla lettura e alla conoscenza della letteratura dei ragazzi, che ogni sondaggio ci rivela in caduta libera. Molti insegnanti di materie umanistiche ripiegano così su un insegnamento pseudoscientifico, per quel senso di inferiorità che li affligge nei confronti dei colleghi delle materie scientifiche: di qui il proliferare di libri di testo e di lezioni su generi letterari, su figure retoriche, su strutture testuali e su quanto si può in qualche modo misurare, piuttosto che affrontare l’avventura dei testi veri e propri, la lettura diretta dei quali è messa sempre più all’angolo nel lavoro svolto in classe.



Ma in tutte le materie gran parte degli insegnanti, una volta entrati di ruolo o anche prima, smettono di fare ricerca. Anche la formazione sui contenuti delle discipline latita da anni. Nel fare lezione sempre più ci si affida ad alcuni concetti, alcuni autori, alcune pagine delle antologie cristallizzate negli anni, ad alcune categorie di lettura, quasi sempre formali, a tutti gli ismi che qualcuno, altrove, ha lambiccato per tutti, e passano le giornate. Con la noia che dilaga.

Esiste però una minoranza di professori che non ha rinunciato a fare ricerca, a leggere, ad aggiornarsi e a scrivere, e Carlo Bortolozzo è uno dei migliori. Un autore, un’opera, un’epoca letteraria non è qui mai fissata del tutto; non si danno sentenze inoppugnabili sugli eventi dell’arte e della bellezza letteraria, ma sempre li si sottopone al fuoco della controversia, per dirla con l’amato poeta Mario Luzi. Pochi lo sanno, forse nessuno lo dice, ma questi insegnanti di scuola primaria, media o superiore, rappresentano uno straordinario patrimonio culturale per tutta la nostra società. Le loro letture, le loro riflessioni, spesso svolte contemporaneamente a quelle dei ragazzi, la loro scrittura rappresentano una miniera di bellezza e novità. Bisognerebbe scoprirne e pubblicarne molto di più.



Al contrario dei docenti universitari, che possono lambiccarsi a loro volta con la filologia, la ricerca formale e nient’altro, gli insegnanti che fanno ricerca per le scuole ritenute, a torto, di grado inferiore, hanno un eccezionale valore aggiunto: sanno che ogni mattina, di ogni giorno dell’anno scolastico, incontreranno i loro ragazzi e, se appena il lucignolo fumigante dell’umano è ancora acceso, dovranno proporre qualcosa che c’entri con la loro vita e tenti di farli crescere.

È questo che guida la ricerca di chi, come Carlo Bortolozzo, si costringe, potremmo dire, a scoprire il cuore profondo degli autori e dei libri, lì dove scocca quel riconoscimento umano che ci affeziona per sempre a una poesia o a una storia. Egli sa, sulla scorta di Ezra Pound, che un gesto letterario è sempre educativo, non appena si entra in contatto con lo sguardo profondo del senso del testo.

Il volume in questione, che segue altri volumi dello stesso autore condotti su un identico filo di ricerca aperta alla realtà educativa quotidiana, spazia da nuove letture sui classici scolastici, come Dante, Tasso, Leopardi, Manzoni o Foscolo ad autori pienamente contemporanei, spesso viventi. Bortolozzo, che è veronese, è particolarmente aggiornato sugli autori dell’area triveneta, da quelli che sono ormai dei piccoli classici del Novecento, persino dialettale, come Ferdinando Camon, Biagio Marin o Giani Stuparich, agli odiernissimi (per dirla con Carducci) Pierluigi Cappello, Pasquale Di Palmo o Ivan Crico, insomma il meglio di quanto annovera oggi la sua area linguistica e letteraria. Se pensiamo a quante volte ci si lamenta della lentezza della scuola nell’aggiornarsi anche solo rendendosi conto degli autori moderni, dovremmo forse usare in modo più esteso e libero strumenti come il libro di Bortolozzo.

L’autore non percorre la sua strada di riflessione da solo: ecco, ad accompagnarlo, la lettura documentata da altrettanti capitoli dei libri di George Steiner, Harold Bloom e Tzvetan Todorov. Praticamente il gotha della critica letteraria mondiale, giusto per tacitare chi ancora equivoca sull’attestato di scientificità, che apparterebbe in letteratura all’accademia. Tutt’altro. Qui sta la vera scienza letteraria: questo è il modo di leggere i classici e i moderni, in compagnia della domanda fondamentale che chiede come fare ad amarli, a farli amare ai più giovani e ad amare noi stessi una volta che abbiamo saputo riconoscerci nelle grandi opere di bellezza della parola.

Il volume sarà presentato martedì 30 aprile alle 17:30 presso la Società letteraria di Verona, Piazzetta Scalette Rubiani 1, Verona. A dialogare con l’autore C. Bortolozzo ci saranno Ernesto Guidorizzi, docente di teoria della letteratura nell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e Alessandro Rivali, scrittore. Letture di Elisabetta Zampini, Laboratorio di lingua e grammatica italiana dell’Università Cattolica di Brescia.

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