La mentalità tardo-illuminista, nella quale tutti noi siamo stati educati – scrive il cardinale Cordes in Il coraggio di essere cristiani. Una conversazione su fede e Chiesa (in uscita venerdì 17 maggio per Marcianum Press) – ha cercato “di trasformare la trascendenza in una concezione immanente dell’esistenza”. Oggi “domina l’onnipresente umanismo”, secondo il quale “sarebbe appropriato praticare la convivenza umana senza interferenze spirituali”.
Paul Josef Cordes è stato uno dei cardinali tedeschi più autorevoli. Vescovo ausiliare di Paderborn per volontà di Paolo VI, è stato un alto prelato tipicamente “a servizio dei Papi”. Arrivò a Roma nel 1980, Giovanni Paolo II lo volle vicepresidente del Pontificio Consiglio per i Laici per abbattere le resistenze curiali sulla “nuova primavera della Chiesa” rappresentata da movimenti e comunità sorti negli anni 60 e 70. In occasione dell’Anno santo straordinario 1983-84 Cordes è stato tra i creatori della Giornata mondiale della gioventù, anche in questo caso in mezzo a tante resistenze. Nel 1995 diventa presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum: sono anni intensi di missioni in varie parti del mondo a nome prima di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI, che lo crea cardinale nel 2007. È morto a Roma il 15 marzo scorso, a 89 anni, dunque questo libro-intervista è anche un suo “testamento”. Si tratta di un colloquio con il sacerdote di origine polacca della diocesi di Colonia Andrzej Dominik Kuciński, che ha trovato in Cordes “un interlocutore battagliero; egli non ha timore di parlare chiaramente”.
Con i modi prudenti dell’uomo di alto rango ecclesiastico, in effetti il cardinale denuncia chiaramente alcuni problemi della Chiesa degli ultimi decenni. Non solo la società, ma anche i cattolici si sono ampiamente secolarizzati, sottolinea Cordes: “Il Battesimo sacramentale vale come atto sociale di inserimento nel corpo ecclesiale; l’Eucarestia come un banchetto comunitario di alto livello; l’Ordinazione sacerdotale come una nomina solenne di collaboratori ecclesiali e il Matrimonio come una ‘cosa mondana’. Le comunità di fede rimangono, per la loro missione, categorie ordinate alla terrestrità”. Cordes nota spesso nelle parole della Chiesa “la mancanza, l’assenza di Dio”, “così spesso osservata da Benedetto XVI”: ad esempio nell’istruzione del recente Sinodo mondiale dei vescovi, il Vademecum è un documento “incentrato su se stesso”, dice, che “non dà a Dio alcuno spazio: il riferimento a “Chiesa/e” (nelle diverse composizioni) si trova 197 volte; il nome “Gesù”, invece, solo 7 volte”. Allo stesso modo “il cammino sinodale delle diocesi tedesche ebbe inizio – naturalmente con ogni buona intenzione – come ‘via di rinnovamento e conversione, dopo la scoperta dell’orribile abuso sessuale su minorenni, perpetrato da preti’. Gli ambiti di riflessione dei gruppi di lavoro riguardavano il potere nella Chiesa, le ‘relazioni riuscite’, l’amore nella sessualità e nella vita di coppia, le donne, ma Dio come tema proprio sembra non interessare”.
E, nota il cardinale, “la realtà soggettiva di qualcosa, che non viene mai discussa, inizia piano piano a essere inoperante e irrilevante, fino a scomparire”. La Fondazione tedesca Bertelsmann condusse già quattro decenni fa un importante studio demoscopico che registrava come “l’85% dei cristiani intervistati era dell’opinione che la parola ‘Dio’ indicasse solamente un oscuro mistero senza volto, nascosto in qualche luogo dietro le nuvole. A quanto pare – commenta Cordes – la loro fede è svanita nella vaga idea di un anonimo, fatale Divinum”. Oggi – dice il cardinale – “l’affermazione della ‘morte di Dio’ è divenuta semplicemente patrimonio comune; non eccita più nessuno, lascia freddi. Fede in Dio creatore, vita eterna o redenzione dal peccato non interessano più di tanto. Una visione del mondo con elementi religiosi è per alcune parti dell’Europa piuttosto sorpassata, anacronistica e viene derisa. Religiosità, Trascendenza e Timore di Dio hanno cattive carte tra i promotori e manipolatori dell’opinione pubblica”.
Friedrich Nietzsche più di cent’anni fa è stato il primo ad annunciare questa “morte di Dio”, ma per lui “non è assolutamente facile congedarsi da Dio come per il cittadino di Düsseldorf. La morte di Dio non è per Nietzsche un grido di vittoria, ma – nonostante tutti gli attacchi al cristianesimo – una notizia che egli crede di dover testimoniare dolorosamente per la sua epoca: che il mondo, senza Dio, si irrigidisce in un freddo senza gioia; che l’uomo, senza Dio, si spegne in una mortale solitudine”.
Parla anche degli anni del Covid, il cardinale Cordes, chiedendosi se “con la pandemia non si sarebbe dovuto, forse, alzare gli occhi al cielo. Nelle dichiarazioni ecumeniche rese pubbliche dai vescovi tedeschi prevalevano la gratitudine verso i medici e i soccorritori, l’incoraggiamento alla disponibilità al servizio del prossimo e l’esortazione a rafforzare la disciplina umanitaria”. Oggi nella Chiesa “prevale uno stile asciutto e amministrativo, tipico della burocrazia”.
Non era così in passato, ricorda il cardinale: un grido d’aiuto a Dio si levò in tutta la Germania quando il Paese fu colpito dalla peste, ripetutamente, dal XIV fino al XIX secolo. Nel 2020 “sono mancate “preghiera di richiesta o di ringraziamento” e “raramente è stata sollevata la questione se Dio, nella pandemia, stesse reagendo ai nostri peccati”. Anzi, questa sola idea “suscitò una critica furiosa e alte grida di protesta” nella Chiesa. Domina “una filantropia che proibisce a Dio il castigo”. Il cardinale attacca senza mezzi termini “tali consolatori” dell’umanità afflitta che “non solo chiudono le porte delle chiese, ma il ielo stesso”. E invece “l’esperienza del Covid-19 costringe noi cristiani a chiamare Dio e ad annunciarlo, per rafforzare la fede in noi stessi e non lasciare che Dio si spenga nel mondo di oggi, anche se fossimo solo un ‘resto santo’”.
Che un processo di secolarizzazione, “a prima vista” inarrestabile, minacci anche dal loro interno religione e fede, “è evidente”. Ma lo Spirito – dice Cordes – ha preso le sue contromisure, e ha sollevato i movimenti nella Chiesa: “La diffusione post-conciliare di questi nuovi inizi è stata impressionante”. Al clero però non sempre piacciono: già il Ratzinger teologo sottolineava il “malumore episcopale che essi possono scatenare”. Ratzinger – dice Cordes – “si rendeva conto anche che spesso dietro le riserve di alcuni pastori c’è qualcosa di più di una fobia superficiale. Questi movimenti mostravano malattie infantili. Si poteva avvertire in essi la forza dello Spirito” e tuttavia “c’erano tendenze all’esclusività, agli accenti unilaterali e quindi all’incapacità di inserirsi nella vita della Chiesa locale”. Ricorda che “alcuni vescovi non si trattennero affatto dal respingere i nuovi movimenti. Scelsero parole chiare, che io ricordo bene”. Così come ricorda bene al Sinodo dei vescovi del 1987 l’intervento duro del cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, molto critico sui carismi: Cordes si sentì però agguantare il braccio da Wojtyła che lo incoraggiò con due parole chiare: “Continua la battaglia!”.
Va alla radice del pensiero della modernità, il cardinale, discute Hobbes, Francis Bacon, Kant, Hegel, Marx, fino a Feuerbach, Comte, Freud. Ricorda che l’Onu e l’Unione Europea si distinguono per il tentativo sistematico di espellere la religione dalla vita pubblica: “Tuttavia, noi cristiani non possiamo piegarci. Chi nega la forza positiva della religione per gli uomini e per la società, è cieco sulla storia”. Infine ricorda che “Gesù non è assolutamente un filantropo”, citando quello che disse Bergoglio ai cardinali uscendo dal conclave che lo aveva eletto Papa: ”Noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una Ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore”. E conclude notando che oggi “è necessario uscire da una prospettiva giuridica”, non fermarsi all’analisi della “legge ecclesiale”: perché noi cristiani “non ci troviamo di fronte a un obbligo scritto, ma a una persona. L’Autore della storia della salvezza non ci ha dato un documento e dopo è sparito. Si è, come uomo e individuo, proclamato ‘la Via’, che conduce al Padre. Siamo legati a una relazione umana”.
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