Ci sono infiniti concorsi di poesia. Con le cerimonie tipiche dei concorsi letterari: premi, nessun confronto, cerimonia dei “numeri primi”, predisposizione all’elenco all’album meritorio. E poi c’è Corpi di/versi. Il concorso di Jesi veniva così presentato da Sebastiano Aglieco: “Corpi di/versi è un esperimento, e cioè il tentativo di innestare sul tema della diversità – diversità in se stessi, di fronte a se stessi e agli altri, corpo in qualche modo riconosciuto ferito – un dire trepidante, convinti che le sorti della poesia non abbiano a che fare con la bella grafia delle parole ma con l’essere altro dalla poesia, avendola attraversata con dolore”.



Una bella utopia, certo, ma anche una scommessa: il tentativo di sottrarre la parola poetica al rito della maschera, dell’apparizione a tutti i costi. E anche un invito per i poeti a riconoscersi persone integrali. Proprio nel senso esposto da Piero Jahier: “Che la minima buona azione / vale la più bella poesia”. Insomma, non solo nel titolo, ma nella sostanza e nelle sue modalità il concorso è un concorso diverso. Ma non eccentrico rispetto a una profonda e vera esperienza della poesia. Anche qui ci sono stati premi per i poeti che sono stati selezionati tra tutti coloro che hanno partecipato. Ma il premio per i sei selezionati Pietro Milesi, Caterina Milesi, Cinzia Soverchia, Rosalia Lobue, Loredana Bogliun, Luigi Cannillo – le cui opere non sono state messe in fila dal primo al sesto, ma tutte ritenute ugualmente valide e interessanti – non era un premio in denaro, o targhe o medaglie. No. Vincere ha voluto dire essere ospitati per tre giorni a Jesi e potere partecipare ai lavori conclusivi del concorso. Ha voluto dire mettersi nuovamente in gioco, dopo avere messo in gioco la propria opera. Ha significato mettersi in viaggio da Milano, da Trieste, da Caltanissetta per incontrare gli altri poeti selezionati; per incontrare i poeti Marco Bellini, Leopoldo Lonati, Marco Molinari invitati da Anfass e Pojesis a testimoniare con i loro testi la possibilità della parola poetica di prendersi cura del mondo.



Perché la tre giorni di Corpi di/versi è stata pensata come un’occasione d’incontro e di scambio con voci diverse e non solo poetiche. Il filosofo Michele Cardinalini che ha introdotto i lavori si è interrogato sull’esperienza della poesia a partire da un’ottica che non divida il corpo dalla mente; semmai consideri la persona come una coscienza incarnata, nella quale e attraverso la quale “prende corpo” la stessa poesia. E ha poi dialogato sui temi dell’etica della cura con il professor Augusto Melappioni, medico chirurgo, consigliere regionale e poi assessore regionale alla sanità delle Marche, che ha parlato del paziente come “portatore di un racconto” e del medico come “ermeneuta” e di come però questa sensibilità stia sempre più scomparendo e occorra una nuova svolta educativa, a partire anche dalla parola.



Ci sono stati Leonardo Sbaffi, professore al Conservatorio di Foggia, e il suo allievo Alberto Napolitano, a mettere insieme poeti, medici, filosofi, pubblico in un laboratorio che si è chiuso con una performance in cui le parole suonavano insieme a mani, gambe, bottiglie e i loro sassofoni. C’è stato il fotografo Giovanni Matarazzo che ha proposto un’esperienza di “ritratto al buio” in cui le parole sono diventate una fotografia prima immaginaria e poi reale di alcuni dei partecipanti. Ci sono stati gli interventi della poetessa Anna Maria Farabbi con una riflessione sull’abitare la poesia; del sottoscritto che ha raccontato l’esperienza artistica e umana di Pierantonio Verga; di Giovanna Bonasegale, già direttrice di alcuni importanti musei a Jesi, Ancona, Roma che ha sviluppato il tema dell’immagine del corpo nell’arte del Novecento. Ci sono stati due dialoghi teatrali scritti da Silvano Sbarbati e Patrizia Coduti; c’è stata poi la proiezione del bellissimo cortometraggio Animae di Sebastiano Aglieco sull’esperienza della poesia in una scuola elementare e la domenica, dopo la formale premiazione dei selezionati, un ultimo incontro in cui Aglieco ha guidato i partecipanti alla lettura de L’infinito di Leopardi.

In questi tre giorni si girava in lungo e in largo per Jesi, insieme si raggiungeva il ristorante, ci si recava al teatro dove si svolgevano i lavori, si tornava la sera in albergo. Siamo stati una piccola comunità, diceva qualcuno alla fine dei tre giorni. E forse è proprio qui la diversità di questo concorso. Che nasce tutta dall’amicizia e dall’energia dei due ragazzi settantenni terribili che l’hanno pensato: Silvano Sbarbati, fondatore di Pojesis e Antonio Massacci, presidente di Anfass Jesi. Con i loro amici hanno tenuto incontri nelle scuole e nelle fabbriche del territorio, coinvolgendo poi studenti, operai e dirigenti nell’ultima fase del concorso, dando vita a un gruppo di lettura che ha affiancato la giuria nella selezione dei testi. Hanno chiuso loro i lavori ringraziando tutti e pensando già alla terza edizione. E sempre più convinti che ci sia in giro ancora una poesia che è capace di stare nel mondo, di guardare il mondo, anche quello dei corpi di/versi che loro e i loro amici di Anffass vogliono continuare a curare e raccontare.

Ci sono infiniti concorsi di poesia. E poi c’è Corpi di/versi.

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