Morale della favola? La morale della favola risiede nell’orecchio di chi ascolta, non nella voce di chi narra; sta negli occhi di chi legge e non in chi ha scritto un racconto per parole e immagini. Questo è il pregio delle fiabe, di essere abbastanza complesse – così come lo può essere un rebus – da non imporre a nessuno (tanto meno a bambini e bambine) un significato prestabilito. La fiaba contiene un atto di stima del pensiero dell’altro, tale da non imporgli un codice interpretativo prefissato. Vale qui la stessa regola che vige in psicoanalisi per l’interpretazione dei sogni, ovvero che non c’è un significato prestabilito, ma per ricavarlo serve un lavoro: per parafrasare Steven Spielberg, sul lavoro del sogno occorre innestare un lavoro sul sogno, il cui primo titolare è il sognatore stesso. Di recente è balzato all’onore delle cronache un commento dell’attrice e regista Paola Cortellesi – il suo film C’è ancora domani sta avendo un bel successo – che stigmatizza le fiabe della tradizione occidentale come sessiste. Tesi che non si può escludere a priori, ma presa come affermazione univoca rischia di imporre alle fiabe una morale, magari di segno contrario ad altre morali, ma pur sempre presupposta.
Le fiabe che tutti consideriamo classiche sono figlie della loro epoca, indicativamente sono state scritte o raccolte tra il XVII e il XIX secolo (poi sono arrivati i film d’animazione che le hanno riprese, introducendo anche nuove storie e nuovi protagonisti). Ma per chi ascolta sono ancora sorprendentemente attuali. Suscitano interessi, timori, simpatie e antipatie che nascono nel presente, in base alle età e alle vicende di ciascuno. Le fiabe non sono ingenue, anzi, se ben ascoltate sono un ottimo antidoto all’ingenuità. Ad esempio, a non pensare che la famiglia sia un luogo necessariamente accogliente o che gli altri che si incontreranno saranno sempre benevoli. È sufficiente richiamare Pollicino o Hansel e Gretel, che sin dal primo atto mettono in scena dei “poveri genitori”, non solo privi di risorse, ma per giunta cattivi. O Riccioli d’oro che documenta, senza infingimenti, quanto possa essere complesso far spazio a un nuovo venuto, figlio o migrante che sia.
Se c’è poi una cosa che le fiabe non nascondono è l’esistenza dei nemici, ovvero di qualcuno che non solo non favorisce benevolmente, ma ostacola scientemente, con malvagità e perfidia. Nel suo non essere ingenua la fiaba dice anche che non sempre occorre andar lontano per imbattersi in tali situazioni il più delle volte famigliari: con sorelle e fratelli, madri-matrigne o padri-orchi (o entrambi). Ma ancor più la fiaba non è ingenua quando si astiene dal connotare sessualmente in modo univoco il pericolo, fissando così l’ingenuo uditore in un inganno. Se nel Gatto con gli stivali il nemico ha le sembianze dell’Orco, in Hansel e Gretel ha le sembianze della Strega. In Biancaneve l’elemento ostile, vittima lei stessa della serpe dell’invidia, è la madre-matrigna, ma in Barbablù – fiaba troppo poco nota, e ancor meno ascoltata – il maligno è un seduttore-marito-compagno-fidanzato, omicida seriale. In Cappuccetto rosso le generazioni a cimentarsi con lo stesso problema (il lupo: il maschile? il sesso? l’amore? il lavoro?) sono tre: madre, figlia-nipote, nonna, ma dalla fiaba non è dato sapere se qualcuna se la sia cavata meglio delle altre.
Suggerire che il pericolo arrivi sempre dalla stessa parte – sessualmente connotata – equivale a sguarnire le difese da un’altra; stile Linea Maginot, per intenderci: tu fortifichi la difesa da una parte, mentre il nemico entra da un’altra. È certamente vero che di eroine protagoniste della propria fortuna le fiabe tradizionali – al pari della storia – sono molto parche e alquanto sguarnite, e se dovessi avventurarmi a suggerire un modello, indicherei la Regina di Saba (Bibbia, Libro dei Re) piuttosto che un personaggio delle fiabe. Figura probabilmente mitica, la Regina di Saba parte dall’avere un Regno, non da un ruolo secondario e servile; tuttavia, è una sovrana che non si accontenta degli ossequi dei sottoposti e non esita a fare la prima mossa, a prendere “armi e bagagli” e muoversi alla ricerca di un partner, all’altezza del rapporto. Sapendone cogliere la morale la storia della Regina di Saba sarebbe un ottimo insegnamento: la sovranità non è autosufficienza, ma la competenza nella scelta dei propri partner, compreso quello da cui avere figli.
Nelle fiabe non mancano storie di alleanze tra i sessi e quella di Hansel e Gretel è un esempio emblematico, perché sono entrambi a salvarsi attraverso una partnership di successo. Ma sono situazioni molto rare persino nelle fiabe e poco raccontate, mentre sarebbe interessante documentare come da questa premessa di non ostilità e partnership si svilupperanno le vite dei due fratelli Hansel e Gretel. Sono storie da orientare al futuro, perché sino ad oggi sono state scritte solo in minima parte, la loro stessa rarità le connota fiabescamente, così che, da Adamo ed Eva, la partnership tra i sessi (che è molto di più della parità), pare avere più le sembianze di una chimera che di una storia, né più né meno che la pace nel mondo. Peace & love resta il titolo di una storia ancora da scrive, a più mani.
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