Era difficile immaginare che il ventesimo anniversario della morte sollevasse tanto interesse per la figura umana e politica di Bettino Craxi. Oltre al primo film e al secondo che è in uscita, guardando i banconi delle librerie ci si rende conto che la cappa di silenzio sulla vicenda del leader socialista, relegata tra i “latitanti” e imposta da magistrati, giornalisti e “capitani di sventura” sedicenti imprenditori, non poteva durare a lungo ed era un’ipocrisia solo pari al desiderio di non rimettere in discussione un delicato periodo della storia italiana che ha segnato una svolta decisiva, in negativo, per la situazione del Paese.



Quattro libri sono usciti a raffica: L’antipatico di Claudio Martelli, Presunto colpevole di Marcello Sorgi, Controvento di Fabio Martini, L’ultimo Craxi. Diari da Hammamet di Andrea Spiri. A questi vanno aggiunti un dettagliato studio dello storico Zeffiro Ciuffoletti insieme a Edoardo Tabasso, Craxi. Le riforme e la governabilità (1976–1993) e un libro “giallo”, una grande metafora scritta dallo stesso Craxi dal titolo  Parigi–Hammamet.



Ma non è finita qui, perché è stato ristampato Craxi. Una vita, un’era politica scritto da Massimo Pini nel 2006 e si spera che ritorni in libreria anche il bellissimo Storia di Craxi, scritto da Ugo Finetti nel 2009.

E tutto questo avveniva mentre circa mille persone andavano sulla tomba nella parte cristiana del cimitero di Hammamet e altri sentivano il bisogno di andare al Monumentale di Milano, sulla tomba di Turati e della Kuliscioff, per rendere un omaggio alla grande testimonianza umana del riformismo socialista.

Di fronte a tanta partecipazione e a tanta documentazione, si deve innanzitutto ringraziare la Fondazione Craxi, il lavoro della figlia Stefania e di Margherita Boniver, nel riordinare tutto quello che il leader socialista ha scritto nella sua vita e nel drammatico periodo dell’esilio.



Gli stessi autori dei testi citati hanno raccolto tra le carte della Fondazione documenti custoditi e catalogati con cura scrupolosa. Il desiderio di Craxi, espresso più volte negli ultimi anni di vita, quando ripeteva “fate in modo che non la nostra storia non venga cancellata o tramandata falsamente”, è stato rispettato per intero.

Esaminiamo intanto brevemente due libri di autori molto noti, quello di Claudio Martelli, il “delfino” di Craxi per lunghi anni, e quello di Marcello Sorgi, grande giornalista, direttore de La Stampa di Torino, e scrupoloso cronista politico e parlamentare.

Nel suo L’antipatico, Martelli ricostruisce una grande avventura politica a cui ha partecipato direttamente, traccia con scrupolo una visione politica di rinnovamento del socialismo e nello stesso tempo dell’Italia di fine Novecento. Bettino Craxi è stato un uomo, fin da giovane, che è sempre stato di sinistra e che, a quattordici anni, nel 1948, attaccava ai muri i manifesti del Fronte popolare, quella parte politica che si opponeva alla Dc. Era figlio di un avvocato siciliano, socialista e partigiano, che diventerà viceprefetto di Milano e prefetto di Como subito dopo la Liberazione.

L’ambiente di Bettino in quel periodo è sempre la sinistra, con rapporti solidi con i comunisti, persino all’interno di sezioni giovanili comuni e nella grande organizzazione della Fmgd, dove conosce i protagonisti della sinistra mondiale e con cui manterrà sempre rapporti di amicizia.

È a 22 anni, nel 1956, quando arriva la tragedia ungherese, l’insurrezione di un intero popolo contro i sovietici, che il giovane Craxi, già protagonista politico nelle organizzazioni universitarie, matura il suo pensiero di democratico di sinistra legato ancora di più al riformismo socialista, quello che a Milano è interpretato da uomini come Guido Mazzali, che si collega a Pietro Nenni e risale alla grande scuola riformista di Turati e della “bella russa” (così la definiva spesso Bettino, guardandone ammirato l’immagine in una splendida fotografia che teneva nel suo studio).

La grande avventura politica di Craxi fa un salto, in un certo senso, nel 1956, ma “l’antipatico” arriva a maturazione e al culmine della sua leadership nel 1976, quando diventa segretario del Psi. Martelli riassume bene la nuova visione del Psi craxiano, il suo internazionalismo che diventerà decisivo, come punto di riferimento europeo nella contrapposizione durissima della Guerra fredda, anche per l’amicizia, solidale e quasi fraterna, con personaggi come Brandt, Mitterrand, Palme, Gonzalez e Soares.

Il racconto di Claudio Martelli è a tratti incalzante nella parabola di moderna revisione del marxismo visto da Craxi e dagli esponenti dell’Internazionale socialista degli anni Ottanta del Novecento, persino nella riscoperta di quello che veniva definito il socialismo liberale di Carlo Rosselli e che impressiona positivamente Craxi.

Forse “l’antipatico” Bettino Craxi si è spinto troppo in là, con le sue proposte di rinnovamento dello stesso sistema politico italiano, del revisionismo, dell’indipendenza, pur mantenendo un’assoluta lealtà, dimostrata anche all’interno dell’Alleanza atlantica con l’episodio di Sigonella. Lo stesso atteggiamento tenuto sulla vicenda del caso Moro, con la linea della trattativa e contro il “partito della fermezza” ha spiazzato tutti: Pci, Dc, grandi giornali, tutori di una supposta maestà dello Stato.

Nella palude del consociativismo, diretto e indiretto, tra Dc e Pci, Craxi scompagina gli equilibri e diventa fastidioso anche al “quarto partito”, quello del denaro, della finanza, dell’imprenditoria familistica italiana, che diffida di ogni reale rinnovamento e di equilibri politici che cambiano.

Nella sua lealtà, Martelli non risparmia anche critiche al Craxi del 1987, che ritorna alla guida del partito dopo l’esperienza positiva di governo, al quasi smarrimento dopo la caduta del Muro di Berlino, perché forse non riusciva a vedere il nuovo assetto geopolitico in gestazione e forse non coglieva quello che, alla base della società italiana, stava maturando.

Ma la lealtà critica non frena i giudizi di Martelli su Craxi, che diventa il capro espiatorio di un sistema ipocrita da riformare, sugli indignati che lo contestano e che rivelano la loro vera natura: “Nessuno mente più degli indignati”, come scriveva Nietzsche.

La grande conclusione di Claudio Martelli è la domanda che si pone e il sentimento che prova: “Perché era antipatico? E perché io ho passato vent’anni a difenderlo e ancora non ho smesso?”.

Se Claudio Martelli scrive un racconto quasi da coprotagonista, Marcello Sorgi fornisce un’appassionata e documentatissima testimonianza di un grande cronista, che segue i passi di un leader, ne vede i tratti importanti e innovativi della sua politica, le implicazioni che comportano anche a livello internazionale, ma non dimentica mai anche gli aspetti umani che caratterizzano il personaggio.

Già il titolo del libro di Sorgi, Presunto colpevole, appare come una provocazione ben calibrata, in questi tempi, rispetto alla vulgata dominante della fine degli anni Novanta, gli anni di Tangentopoli, sulla figura di Craxi.

Sorgi si sofferma molto sull’esilio di Craxi ad Hammamet e l’incipit del suo libro assomiglia a quello di un grande romanzo di Gabriel Garcia Marquez, Cronaca di una morte annunciata. Scrive Sorgi: “La mattina del 19 gennaio 2000, il giorno in cui doveva morire, Bettino Craxi si è svegliato più tardi, sentendosi inaspettatamente meglio”.

Anche secondo i medici che lo seguivano Craxi sembrava aver superato il periodo difficile post–operatorio, ma il personaggio “tutto politico” appariva soprattutto depresso, non reagiva, forse capiva che non poteva coltivare più interamente la passione della sua vita e quindi era meglio congedarsi da questa vita.

È un tratto ricorrente in tutto il libro di Sorgi, che rivela inoltre notizie di grande interesse. È stato Tony Blair, un grande ammiratore di Craxi, a ispirare a Sorgi il libro su Craxi, facendogli in un incontro una domanda ovvia per un anglosassone che vive in un paese dove la giustizia è amministrata secondo i canoni di una democrazia classica: perché non è stato predisposto “un corridoio umanitario” per curarlo e consentirgli almeno una degna fine?

Gli inglesi lo avrebbero fatto anche per “Jack the ripper”, ma probabilmente Blair non conosce le procure italiane, quelle di quel periodo e probabilmente anche quelle attuali. Forse non conosce neppure la faziosità degli opinion makers (si fa per dire) che scrivono sui giornali di questo Paese. L’abbandonarsi alla morte come se fosse un destino scritto ricorre spesso nel libro di Sorgi.

Se il presidente Giorgio Napolitano, nel decimo anniversario della morte di Craxi, scrisse una lettera che non si può dimenticare ad Anna Craxi, parlando di inusitata durezza da parte della giustizia italiana, Sorgi fa un paragone, con le dovute distinzioni del caso, tra Craxi e Aldo Moro. Scrive Sorgi: “Negli ultimi decenni i governi italiani hanno negoziato su tutto e con tutti. Sempre, tranne in due occasioni: per Moro e per Craxi”.

È impressionante che la famiglia di Moro rifiutò i funerali di Stato così come li ha rifiutati la famiglia di Craxi. Ed è giusto interrogarsi in quest’ultimo caso: come può un governo offrire funerali di Stato a un latitante, secondo la sempiterna versione del pool del manipulitismo e dei suoi fans e scribi? Risposte che dovrebbero essere sepolte dalla imposta dimenticanza, ma che però non riesce a spuntarla sui ricordi di tanti.

Marcello Sorgi ricorda anche il 12 aprile 1978, quando fu recapitato a Craxi un foglietto a quadretti su cui Moro, dalla “prigione del popolo”, lo ringraziava per le sue iniziative di salvarlo e lo pregava di insistere, cercando di convincere, se mai ci fosse riuscito, almeno i democristiani. Gennaro Acquaviva vide Craxi, nel suo studio in via del Coro a Roma, piangere e nascondere la testa tra le mani di fronte a quel foglietto, dicendo tra i singhiozzi: “Bisogna salvarlo”.

Come è lontano il Craxi dipinto dai media del pensiero unico da quello raccontato da Sorgi. Il “tesoro” nascosto, introvabile e mai trovato, va alla causa palestinese, ma nessuno segue questa pista. Lo stesso Francesco Cossiga, nella sua ultima visita ad Hammamet, consiglia a Craxi di rivelarlo.

Ma di Craxi si dimentica tutto, come gli aiuti ai leader dei popoli emergenti di tutto il mondo che lottano contro le dittature, ai profughi dell’Est come il cecoslovacco Jiri Pelikan, che Enrico Berlinguer non vuole neppure vedere, mentre Craxi lo fa eleggere al Parlamento europeo nel gruppo socialista.

Infine ci sono rivelazioni interessanti fatte dal grande cronista Marcello Sorgi, come le carte della Cia che si possono consultare sul nuovo assetto geopolitico dell’Italia del 1992 e dopo la caduta del muro di Berlino. Ci sono gli interessi degli americani per una serie di privatizzazioni e gli strani incontri tra uomini del pool di Mani pulite e personaggi del consolato americano di Milano. Era un fastidio persino per l’ambasciata Usa di Roma.