Il 27 ottobre scorso a Bologna, nell’Aula Magna dell’Università gremita di pubblico, si è svolto un dibattito sul tema “I cattolici nella società italiana: eclissi o nuova responsabilità?” con la partecipazione del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, del presidente della fraternità di Comunione e Liberazione Davide Prosperi e di quello della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo.
Il politologo Ernesto Galli della Loggia, che in settembre con un suo articolo sul Corriere della Sera aveva riproposto la discussione sulla crisi della presenza culturale e politica cristiana in Occidente e in Italia, introducendo il dibattito ha affacciato “en passant” un’ipotesi inquietante, ma plausibile, ovvero che la crisi della democrazia cui assistiamo da tempo in Occidente sia almeno in parte legata alla crisi dell’appartenenza cristiana.
In effetti, la rinascita della democrazia in Europa dopo gli orrori della seconda guerra mondiale e dei totalitarismi del Novecento è stata dovuta in gran parte a figure di cristiani, anzi di cattolici: Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Konrad Adenauer. Per i primi due è perfino in atto un processo di beatificazione. Il senso forte della libertà e della comune intrapresa sociale era legato strettamente alla speranza cristiana che incideva indirettamente anche sul piano politico e su coloro che cristiani erano solo culturalmente (il famoso “non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce).
Con il processo di progressivo inaridimento della linfa cristiana, ovvero del senso che qui e oggi è sempre possibile un rapporto con il trascendente perché Dio stesso ha spezzato la “cappa” che avvolge il mondo, entrando in rapporto con ogni uomo, sono pure venute gradualmente meno le grandi speranze umane che avevano animato l’Occidente e che assumevano anche un volto laico e talora perfino fortemente anticlericale. Pensiamo, per esempio, alle grandi battaglie vinte dopo la seconda guerra mondiale come la nascita dell’Onu, della Comunità europea, alle lotte sociali del dopoguerra e anche allo stesso Sessantotto.
Da un punto di vista aperto alla dimensione del religioso si potrebbe sostenere, da un lato, che l’uomo desideri affermare la libertà e la giustizia con la più o meno segreta speranza d’incontrare Dio qui ed ora. Ma occorre, d’altro lato, sottolineare che per sperare effettivamente nell’attuabilità di un’utopia terrena e lottare insieme attivamente per essa giova certo sperare nella possibilità di una vita finalmente e pienamente compiuta dopo la morte o almeno contemplarla sullo sfondo come un’ipotesi plausibile e capace d’infondere senso anche all’oggi. In altri termini, soltanto ergendosi secondo quella che è la sua autentica misura, la misura cioè del suo desiderio infinito di senso, l’uomo è pienamente se stesso anche in campo sociale e politico.
Lo dimostra, come notava Marco Impagliazzo, il fondamentale ruolo sussidiario svolto ancora oggi dalle iniziative dei cristiani in molti ambiti della vita sociale. La religione non è solo e non è innanzitutto fonte di alienazione. Del resto già il grande liberale Tocqueville affermava: “per parte mia non credo che l’uomo possa mai sopportare insieme una completa indipendenza religiosa e un’intera libertà politica e sono portato a pensare che, se egli non ha fede, bisogna che serva, e se è libero che creda”.
Oggi è come se con il venir meno del rapporto dell’uomo con Dio, con un punto al di là del mondo, una cappa apparentemente impenetrabile, ma non più sacrale come nell’antichità classica (fatta magari anche dai nuovi mezzi di comunicazione e in genere dalla tecnologia), coprisse il mondo impedendo di fatto agli uomini di ergersi pienamente in piedi mossi da una grande speranza che tutti accomuna. Si sostituisce facilmente, come nel mondo pagano, una sacralizzazione idolatrica del particolare, della nazione o della stirpe oppure, per reazione, dei propri pretesi diritti individuali affermati senza limite e talora a spese di quelli degli altri.
Oliver Roy in un recente volume ha parlato di “appiattimento del mondo” determinato dalla moltiplicazione delle regole per ovviare alla frammentazione individualista e al venir meno di un contesto culturale comune (L’aplatissement du monde: la crise de la culture et l’empire des normes, Seuil 2022). Come ha osservato Davide Prosperi nel dibattito di Bologna sussiste, così, “una fragilità della politica che nega il trascendente e trascura il bene comune per disinteresse al bene della persona”.
Se l’ipotesi affacciata da Ernesto Galli della Loggia sul nesso fra cristianesimo e democrazia è vera, il tema di una ripresa della presenza cristiana nella società non è indifferente per la vita culturale e politica. Lavorare per favorire la presenza cristiana nei vari ambiti della società civile e, più in generale, per dare nuovamente e coraggiosamente spazio nella nostra cultura alle grandi domande di senso della vita, può significare anche lavorare per la democrazia liberale, per una società plurale e solidale aperta cordialmente al confronto e alla collaborazione fra uomini aderenti a diverse concezioni della vita.
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