Il filosofo della scienza Evandro Agazzi ha più volte segnalato la contraddizione storica per la quale scienza e tecnologia – la cui massiccia presenza ha permeato così profondamente la vita delle nostre società – occupano uno spazio e un peso assai ridotti nella nostra “cultura”; Agazzi considera questo fatto “come un aspetto patologico del nostro tempo, come una ragione della sua crisi d’identità” che è necessario superare.



Questo libro, L’uomo nell’era della tecnoscienza. Dialogo tra un fisico e un filosofo, scritto a quattro mani da Agazzi col fisico Gianpaolo Bellini e recentemente pubblicato da Hoepli, si può considerare un valido contributo sulla via dell’auspicato superamento. Il “dialogo” tra i due si sviluppa già in modo allargato, a seguito del coinvolgimento di altri studiosi di area scientifica, umanistica e di “cultura varia” quali i biologi Giorgio Dieci, Paolo Tortora e il compianto Carlo Soave, il fisico e teologo Giuseppe Tanzella-Nitti, il chimico e medico Silvio Garattini, il linguista Andrea Moro, il neurologo Mauro Ceroni, i neuroscienziati Lorenzo Fontolan e Vittorio Gallese, l’umanista Uberto Motta. Una serie di colloqui e discussioni con loro ha permesso di mettere a fuoco gli interrogativi di partenza: “Cosa significano realmente per noi, uomini del terzo millennio, la scienza e la tecnologia? Che ruolo hanno nella nostra vita?”.



Le risposte affiorano lungo un articolato percorso che attraversa dall’interno le conoscenze scientifiche acquisite nei diversi campi e che via via costruisce un compendio di “ciò che oggi una persona colta dovrebbe sapere”; il taglio però è tutt’altro che accademico e riesce a tradurre gli elementi essenziali dell’astrofisica, della genetica, delle neuroscienze in un linguaggio accessibile e con la preoccupazione di esprimere con chiarezza e immediatezza le domande interessanti alle quali le suddette discipline rispondono con le loro teorie e i loro formalismi.

L’immagine delle scienze che emerge da queste pagine è ben diversa da quella che viene solitamente diffusa, cioè di un grande patrimonio di conoscenze efficaci e pertanto intrinsecamente orientate alla prassi. “Sfugge ai più che la scienza risponde in prima istanza a un interesse autenticamente conoscitivo e che vuol essere in primo luogo una forma adeguata di conoscenza”; è per questo che ha assunto un’impostazione e un metodo ben precisi, caratterizzati dai requisiti dell’oggettività e del rigore. Quella della piena portata conoscitiva della scienza è una tesi centrale di Agazzi che permette di affrontare costruttivamente quella che sembrerebbe una frattura e una separazione incolmabile tra le due culture: “la strada per riconciliare le cosiddette due culture (o, più esattamente per dare spazio e voce alla scienza dentro l’unica cultura del nostro tempo) viene implicitamente indicata nel modo di presentare e comunicare la scienza”. Ed è ciò che si verifica in questo testo. Il valore culturale e la portata umanistica e umanizzante della scienza non è solo la tesi del filosofo, chiaramente enunciata e ben argomentata; è anche mostrata in atto nelle parti più prettamente scientifiche sviluppate da Bellini: nel modo in cui descrive la materia come sottesa da una rete logica che la regola; nel come racconta di un universo dove il 95% della massa-energia è qualcosa di misterioso, non ancora ben individuato; nel come parla delle leggi quantistiche che regolano il microcosmo o dei neuroni specchio o dell’epigenetica.     



Per un pieno recupero della scienza come cultura non mancano le indicazioni concrete, che passano inevitabilmente dalla strada della scuola e della divulgazione. Agazzi, ad esempio, sostiene che “si dovrebbe dare uno spazio adeguato alla filosofia della scienza e della tecnica tanto nell’insegnamento delle discipline scientifiche quanto in quello della filosofia, facendo uscire entrambi i settori da quell’impostazione autoreferenziale ancor oggi imperante”. Mentre Bellini osserva che “la cosa più interessante per gli studenti non è sapere subito una formula sulla quale può essere basato un fenomeno ma piuttosto capire quale sia stata la sequenza di ragionamenti e di logica che ha portato lo scienziato a formulare quella determinata legge”.

Quanto alla divulgazione, dopo aver invitato la comunità scientifica a recitare un “mea culpa” per la trascuratezza di questo aspetto, Bellini sostiene l’importanza di una divulgazione “fatta direttamente dagli scienziati” che però nel farla cerchino di “mettere in luce anche l’aspetto culturale di ciò che comunicano”.

Non poteva mancare una riflessione sul mondo della scienza di fronte al problema religioso. Superate vecchie contrapposizioni, frutto spesso di equivoci, di riduzionismi e assolutizzazioni, resta il problema di una mentalità neopositivista che tende ad eliminare le affermazioni metafisiche escludendole dalla lista dei problemi forniti di senso. Ma proprio oggi, mentre da un lato si affacciano sulla scena culturale i movimenti post-umanisti e si diffondono le idee del trans-umanesimo, dall’altro l’uomo constata la sua incapacità di dominare il progresso tecnoscientifico, si ripropone prepotentemente la questione del conferimento di senso alla stessa impresa scientifica. Una riflessione critica sulla scienza, come quella offerta in queste pagine, permette di “superare gli eccessi dello scientismo e recuperare lo spazio per un reimpianto della problematica religiosa sul terreno della trattazione razionale”.