Il volto di Cristo, settanta volte annegato e poi spiaggiato in quei giovani corpi come vecchi tronchi rugosi, avvizziti, intirizziti dalla notte di tempesta sul mare di Cutro. Livide labbra e occhi come perle abbacinate, assenti e sorprese dalle prime luci dell’alba sulla sabbia ruvida.

Il volto di Cristo, quattrocento volte congelato nella neve e nel fango, nei corpi sepolti e poi strappati alla terra da mani pietose di soldati ucraini, prima che le mine e le ruote dei cingolati russi sopraggiungano a cancellarne i resti.



Il volto di Cristo cinquantamila volte schiacciato nei corpi gravati da quintali di cemento, mentre la terra al di sotto trema, si scuote, si sgretola, squarcia le case come un mostro primordiale, un drago che si risveglia dal sonno.

Cutro, Bucha, Siria e Turchia. Così è iniziata la quaresima globale del 2023. Tre volti di Cristo moltiplicati per migliaia di volti, figli di quel medesimo unico Volto in cui tutti possiamo fissare il nostro volto per ritrovarci, e perché non siano vane queste morti. C’è guerra anche in Italia, una guerra strisciante che suscita fantasmi e odio. “C’è guerra nei viali del centro” cantava Lucio Dalla molti o pochi, pochissimi anni fa.



Ci vorrebbe una koinonia, una comunione d’affetti e d’intenti. Come in Siria e Turchia in quell’immensa filiera di bontà, in quella cordata di speleologia umanitaria che si è calata con coraggio nei pozzi neri della morte, per cavare da quegli inferi il grido soffocato di dolore di anime e corpi. Piccole resurrezioni.

La cronaca ha fretta e dalla quaresima, in quei corpi di salvati dal nulla, ci ha già portati alla Pasqua. Vedere la luce. Si può risorgere dalle macerie (anche dalle nostre, in Italia) e dai morti solo attraverso quella comunione che è il fondamento di ogni umana convivenza e che si è realizzata tra le macerie delle città turche e siriane, così come lungo la spiaggia di Cutro, dove la gente del mare ha pregato e sofferto per quei naufraghi senza più volto.



Là in Ucraina imperversa la guerra e qui in Italia la lotta dell’antipolitica e di una opposizione che non sa aggiungere idee proprie a quelle altrui, ma solo accuse e veleni. Siamo tornati indietro di sessant’anni. Dov’è il volto di Cristo nel volto del popolo italiano? Per spegnere questa fiammata di odio ci vorrebbe una cultura dell’amore, una koinonia, una comunione, appunto. O la sobornost, quella “comunionalità” che è tanto cara alla cultura slava e che dovrebbe legare russi e ucraini alle loro comuni radici. Comunione col passato e col futuro, come nei volti dei paesani di Cutro davanti alle bare e ai sopravvissuti. Umana pietà. Memoria di chi ci ha preceduto. Senso della storia. Non possiamo farne a meno. Non possiamo permetterci di buttare via questa preziosa eredità.

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