Maria è la prima creatura nella storia che ha accolto e portato il mistero della Vita con tutto il suo corpo e tutta la sua anima, come sottolinea Péguy: “A tutte le creature manca qualcosa, e non soltanto di non essere Creatore. A quelle che sono carnali, lo sappiamo, manca di essere pure. Ma a quelle che sono pure, bisogna saperlo, manca d’essere carnali. Una sola è pura essendo carnale. Una sola è carnale insieme essendo pura”. “E l’Angelo se ne partì da lei”.
Pensiamo in quale solitudine, anche psicologica, si è trovata nelle condizioni nuove nelle quali il Signore l’aveva messa; senza nessun appoggio umano a cui attaccarsi, anzi dovendosi confidare con il suo sposo Giuseppe che non l’avrebbe compresa. L’unico sostegno era la memoria di quella Parola ricevuta: “Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Grazie al peso di questo mistero, di questa esperienza di solitudine divino/umana Lei ci ha aperto la porta della speranza, perché il mistero non è rimasto un “ignoto amante” dell’uomo, ma si è manifestato attraverso un volto umano preciso, un volto storico. Il volto di Cristo ci ha reintrodotto nel cuore della paternità vera, rotta dalla solitudine di Adamo: “la solitudine genera la lotta più di quanto non renda autonomi”.
La solitudine esistenziale del mondo moderno, “una società senza padri”, come da molti è stata definita, genera un vuoto interiore che è riempito dalla violenza bruta che sembra dominare i rapporti famigliari, sociali, etnici e religiosi. Il mistero della paternità e quello della maternità sono indissolubilmente legati, per cui una mancanza di padri denuncia spesso una mancanza di madri, come l’economia della salvezza sembra suggerire: per questo la “Figlia di Sion”, nella storia, diventa colei che può schiacciare il piede al serpente, perché aprendo le porte della maternità permette la generazione nel Figlio di figli e quindi di padri, come insegna Gesù nel Vangelo: “Chi vede me vede il Padre; io e il Padre siamo un cosa sola”.
Giovanni Paolo II in una sua pièce recita: “Accogliere in sé l’irraggiamento della paternità non significa solo diventare padre, significa ancora di più diventare bambino (diventare figlio). Essendo padre di tanti, tanti uomini devo essere bambino: quanto più padre, tanto più bambino”.
La società europea sta vivendo un deserto spirituale che raggela le energie affettive dell’uomo, che non sa più chi è, perché, come ci insegna San Tommaso, “la vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”. Per avere consistenza, dunque, occorre trovare quell’affetto in grado di sostenere la vita, altrimenti vengono meno le ragioni esistenziali di una vita buona. L’incapacità di integrare gli immigrati le cui seconde e terze generazioni cedono alle lusinghe del fondamentalismo islamico e l’inverno demografico europeo ci fa pensare a un profondo vuoto ideale attorno a cui abbiamo costruito la nostra civiltà moderna.
Il sociologo francese Michel Wieviorka ci spiega il fallimento dei processi di integrazione europei e la radicalizzazione islamista: “Il primo riguarda l’insuccesso dell’integrazione dei figli di immigrati, che hanno vissuto la disoccupazione, l’esclusione sociale e la crisi delle banlieues, il razzismo e che, non avendo trovano uno spazio nell’ambito della modernità occidentale, hanno cominciato a odiarla. Il secondo processo attiene alla ricerca di un significato e può riguardare i giovani provenienti da settori integrati nella società, desiderosi di dare un senso alla propria esistenza, in totale disaccordo con la cultura del consumo. La mancanza o la perdita del significato della vita nelle società europee, ma anche musulmane (per esempio, Tunisi), vengono assunti in forma fanatica dall’islamismo radicale di gruppi terroristici (Al Qaeda) e dal protoStato che è l’Isis”.
Hannah Arendt esprime con una sintesi perfetta che cosa significhi la perdita della natalità: “Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane, dalla sua normale, ‘naturale’ rovina è in definitiva il fatto della natalità, in cui è ontologicamente radicata la facoltà dell’azione. È, in altre parole, la nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l’azione di cui sono capaci in virtù dell’esser nati. Solo la piena esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell’esperienza umana che l’antichità greca ignorò completamente. È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua più gloriosa e stringata espressione nelle poche parole con cui il vangelo annunciò la ‘lieta novella’ dell’avvento: ‘Un bambino è nato per noi’”.
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