Mai il latino è stato così vivo, anzi vitale; si potrebbe dire, in questi tempi di pandemia, un farmaco salvavita. Silvia Stucchi, docente al liceo e professoressa a contratto di letteratura latina all’Università Cattolica di Milano, ha appena pubblicato per i tipi di Ares un saggio tanto spassoso quanto scientificamente fondato.
Chi ha dunque detto che imparare sia sempre sinonimo di noia? Nel suo libro Come il latino ci salva la vita, la Stucchi mette da parte la veste di fango e di loto, simbolo della cultura umanistica di Machiavelli quando si accingeva a leggere gli antichi autori latini, e indossa, metaforicamente, una T-shirt molto trendy, inforca occhiali da sole, e prende in mano l’emblema della nostra epoca: il telefonino per fare un selfie. Proprio così appare addobbato Apollo sulla copertina del prezioso libro: diventa, culturalmente, avatar della stessa operazione culturale fatta con maestria dalla Stucchi, che ci restituisce, dunque, pagina dopo pagina, la vitalità della lingua latina nelle sue molteplici espressioni sincroniche e diacroniche.
Dopo tanta erudizione in senso alessandrino e non deteriore del termine, sempre ammannita, con sapienza, al lettore come le briciole del “Convito” dantesco per non procurare indigestione al lettore, il saggio della Stucchi passa dalla serietà di riflessioni e interpretazioni e riletture attualizzanti di autori antichi (i classici sono tali perché hanno sempre qualcosa da dire, se noi ci mettiamo in ascolto…), a tematiche apparentemente più frivole.
Ci prepariamo all’estate, e siamo, ora, nella fase 2, in attesa di godere della bella stagione, con tutte le misure e precauzioni del caso. Scrive la Stucchi circa l’estetica e la dieta: “Oggi idolatriamo il nostro fisico, e ci danniamo per inseguire ideali estetici sempre più irraggiungibili. In fondo, però, anche il mondo romano aveva criteri estetici precisi, soprattutto per la bellezza femminile… E quanto alla dieta, la medicina antica, di cui Plinio il Giovane, nel suo epistolario, dimostra di avere assimilato la lezione, aveva un approccio che oggi potremmo quasi definire ‘olistico’, nel senso che badava al mantenimento dell’armonia e della salute del corpo e dello spirito nella loro totalità, non a far perdere X chili in Y giorni: in questo, bisogna dirlo, i nostri maiores erano molto più avanti di noi!”.
Con tale leggerezza, tanto decantata da Calvino come lezione americana, la Stucchi ci porta a scoprire un mondo lontano che è arrivato a noi, non certo “sopravvissuto” ma vivo, vitale, vitalistico attraverso la lingua latina che molti di noi hanno studiato a scuola. Tra i capitoli più impegnativi colpisce quello (il quarto) relativo al rapporto tra uomo e ambiente, storia di un rapporto difficile, che ci tratteggia, attraverso il dipanarsi di testimonianze greche e romane, l’uomo antico come dominus della natura, come costruttore e modificatore della natura con le sue costruzioni e infrastrutture: questa è un’eredità che ha qualificato l’uomo occidentale, e l’Europa per secoli è stata un cantiere a cielo aperto con le sue città sempre più grandi, fino alle brutture e all’abusivismo dei nostri giorni.
Insomma, un libro assolutamente da leggere, perché la Stucchi è una “consumata” scrittrice non solo di articoli accademici, ma anche di alta divulgazione, di cui il mercato editoriale italiano non abbonda certo, sfortunatamente. Il saggio si conclude con una chicca: un breve racconto del grande narratore francese Guy de Maupassant. “Gli chiesi: ‘Perché non avete fatto altro, Signor Piquedent?’. Egli esclamò: ‘Eh, che cosa, mio giovane amico, che cosa? Non sono né calzolaio, né falegname, né cappellaio, né fornaio, né parrucchiere. So soltanto il latino, io…’”.