La diatriba dei banchi rischia di fare passare in secondo piano altri aspetti essenziali dell’esperienza scolastica, per esempio lo studio. Proponiamo qui un breve profilo della parola.

Studio viene dal latino studium, a sua volta derivato dal verbo studēre: il significato della parola latina non è identico a quello italiano, perché studium non indica tanto la fatica dell’apprendimento quanto una disposizione d’animo favorevole nei confronti di qualcosa o qualcuno. Quando Tacito all’inizio degli Annali afferma di volere esporre i fatti sine ira ac studio intende garantire al lettore un racconto perfettamente obiettivo, “senza rancore e senza pregiudizio favorevole”.



Studium è una propensione che intende tradursi in un’azione tempestiva: al suo opposto stanno cunctatio, “l’indugiare che procrastina l’azione nel tempo” e officium, ciò che si fa, senza entusiasmo, per semplice dovere. Anche quando viene usato nella sfera intellettuale, studium vale sempre “intensa applicazione che nasce da un’attrazione per una materia”, come emerge dalla definizione che ne dà Cicerone: “Studium è un impegno assiduo e potente dell’anima che si applica a una qualche materia con grande volontà, per esempio alla filosofia, alla poesia, alla geometria, alle lettere” (de inv.).



Del significato antico della parola nel senso di “impegno” rimane qualche traccia nell’uso italiano del verbo studiare (“si studia di essere buono”), che ha sostituito studēre, del quale è rimasto solo l’antico participio presente, che ormai vive di vita autonoma, studente. Oggi studio indica sia l’apprendimento sia la pratica di un’arte o una dottrina, e anche il luogo in cui essa viene esercitata (studio medico, legale).

Studēre è un verbo in -ēre della seconda coniugazione. Questo gruppo di verbi spesso indicano uno stato duraturo (virēre “essere verde”, pendēre “restare appeso”): pertanto in origine studēre indica, più che l’impegno concreto dell’apprendimento, l’atteggiamento di chi è appassionato per qualcosa. Il verbo più prossimo a cui collegarlo, sotto il mero profilo del significato, sarebbe stupēre: entrambi i verbi indicano un entusiasmo per un oggetto esterno, con la differenza che in stupēre la meraviglia rimane circoscritta al soggetto che la prova, mentre in studēre si sottolinea piuttosto la volontà di approfondire la conoscenza di ciò da cui si è attratti, in un atteggiamento quasi di conquista.



L’etimologia indoeuropea ci permette di collegare studium con una radice *steud- “battere, colpire”: la ritroviamo nel sanscrito tudati “egli batte” e in varie parole germaniche (p.es. gotico stautan, tedesco stossen “colpire”). Quindi lo studio come attrazione che nasce da una provocazione esterna, l’essere positivamente colpiti da qualcosa che suscita il nostro interesse.

La parola ha avuto molta fortuna in varie lingue europee che l’hanno ripresa e fatta propria: inglese to study, tedesco studieren, svedese att studera, albanese te studiosh e così via. Nelle lingue slave troviamo altri modi di esprimere l’idea dello studio: in antico slavo abbiamo ukŭ “studio”, in russo učit’sja “studiare”, con –sja caratteristico della coniugazione media o riflessiva, a esprimere l’interesse del soggetto nel compimento dell’azione: učit’ “imparare” e učit’sja “dedicarsi all’apprendimento”. La parola ci riporta a una radice *euk- che indica primariamente il prendere familiarità (sanscrito ucyati “è avvezzo”). Risale a questa radice anche l’armeno usanim “io studio”: medio!), che esprime contemporaneamente l’idea di studio e familiarità. Con mezzi diversi ci riporta alla stessa idea anche il sanscrito athyeti, composto da athi “fino a” e eti “va”: anche in India lo studio è percepito come accostamento e affronto della realtà.

Una ulteriore considerazione. In italiano studio è da porre nel novero dei latinismi, termini che le lingue romanze hanno ripreso direttamente dal latino per supplire a lacune del vocabolario. La forma attesa sulla base delle normali evoluzioni romanze sarebbe stoggio, e questo termine è presente nella lingua letteraria antica col senso di “moina”: l’atteggiamento di simpatia non rimane confinato nell’intimo, ma si traduce in gesti concreti, che però si situano nella sfera del lezioso. Come detto, studere è sostituito nella fase romanza da studiare: il nome si impone sul verbo da cui era stato tratto e ne determina la scomparsa.

Da studiare nel senso di “conservare accuratamente” si ha in provenzale estuj, da cui l’italiano astuccio: una parola che ha poco a che fare col valore originario di studium, ma designa un oggetto pur sempre importante per lo studente.