La vicenda è quella di un uomo che si è messo in mente una cosa impossibile: rubare la luna. Cresciuto con una madre che ha sempre deriso i suoi sogni, alla fine è diventato un criminale. Il film di animazione Cattivissimo me (2010) in modo simpatico, ma molto efficace, ci conduce per mano nei meandri del cuore di Gru. Alto, con un corpo sproporzionato, vestito di grigio, in una casa grigia, con una macchina (decisamente fuori dal comune) grigia, in una vita grigia. Cinico, solo, senza amici, vive con i Minions (curiosi e simpatici esserini che lo assecondano in tutto).



Nel cuore di Gru abita un’ambizione incancellabile: commettere il crimine del secolo, rubando il primato al rivale Vector. A un tratto, però, accade un fatto imprevisto: si imbatte in tre sorelle, abbandonate dai genitori e accolte nel terribile orfanotrofio della signorina Hattie. Sono le uniche in grado di entrare nella fortezza di Vector, che va matto per i biscotti che le ragazzine vendono casa per casa. Gru decide di usarle per introfularsi e rubare il raggio restringente, strumento indispensabile per rimpicciolire la luna e portarla con sé. Accade però una cosa finora sconosciuta al suo cuore: si affeziona a queste tre sorelle. Si accorge di questa novità quando, una volta raggiunto il suo scopo, improvvisamente non gli basta più. Che cosa se ne fa della luna se non può rispondere a quel nuovo e ingombrante sentimento che prova? Così, il cattivo, si ritrova padre. Il suo desiderio di una cosa impossibile ha trovato un compimento che nemmeno si immaginava.



Questa è la vicenda raccontata da un film che potrebbe sembrare per bambini, ma che custodisce una provocazione valida per tutti. Don Julián Carrón la descrive così: “I primi che avevano incontrato Gesù, guardavano tutti, la moglie, i bambini, i compagni, con l’incontro dentro il cuore, con la memoria di lui continua. E con questa presenza negli occhi, anche noi, adesso, affrontiamo tutto: non possiamo togliere dalla nostra vita quello che ci è accaduto, quando è veramente una esperienza umana” (Julián Carrón, Francesco Ventorino, Parole ai preti. Con interventi di mons. Luigi Giussani, SEI, 1996, p. 136).



A fronte di tutte le nostre immagini sulla realtà, a fronte di tutto ciò che ci è accaduto nel passato, a fronte della moltitudine di sogni che coltiviamo per il futuro, Dio risponde con ciò che accade ora e che fa vibrare il nostro cuore facendoci riconoscere veramente uomini. Quando arriva il giorno di questa scoperta tutto ci appare piccolo e ridotto, rispetto alla promessa di compimento che porta con sé. Vengono alla memoria i molti giorni di trascuratezza che abbiamo vissuto dimenticando il nostro “io”, appaltando la riuscita della vita a qualche progetto o a qualche illusorio raggiungimento di chissà quale obiettivo, com’è accaduto al protagonista del film.

Di fronte alla possibilità di riscoprirsi uomini tutti i progetti vanno in fumo, rivelandosi per quel che sono: briciole. Così, l’ammonimento che Albert Camus affida a Caligola, “Siate realisti, domandate l’impossibile”, assume i connotati di un richiamo a non abdicare da se stessi. Il ’68 francese usava questo slogan con ben altro metodo, ma ora, crollate tutte le illusioni, appare nella sua più interessante luce. Il raggiungimento delle cose impossibili è quello che, da sempre, interessa maggiormente l’uomo, sin da piccolo. Poi si cresce, cadendo spesso nel rischio di confondere le cose grandi con le grandi cose. Vista l’impossibilità reale di raggiungerle cade su di noi il terribile velo del cinismo e non ci si aspetta più nulla di nuovo. Fino a quando non riaccade di tornare bambini e di riguardarsi con occhi semplici. Cristo ha introdotto nella storia questa possibilità.

Sottolinea don Carrón nel testo già citato: “Per capire che cos’è Cristo, occorre prendere sul serio l’umano che c’è in noi, la tristezza che c’è in noi, la nostra umanità com’è adesso, qualunque sia la nostra situazione. La prima condizione, dunque, per interessarsi a Cristo è quella di sentire l’umano che c’è in noi. Come è difficile, anche tra di noi, trovare delle persone per cui Cristo è una necessità per vivere, per la vita! Non per diventare un po’ più buoni o un po’ più pii, ma per vivere (per vivere!), per vivere come uomini!” (p. 87).

Non c’è avventura più interessante, non c’è impossibilità più possibile.

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