Mentre l’ottusa burocrazia europea elaborava i suoi regolamenti (giustamente rispediti al mittente) per mettere la museruola al Natale, nella realtà avveniva un fenomeno esattamente contrario. Le città italiane, come ogni anno, ma forse più di altri anni, si sono prodigate nell’offrire a tutti opportunità per “vedere” il Natale.



Proviamo a fare un semplice elenco, certamente incompleto. A Milano, tre giunte comunali di centrosinistra, quella locale più Bergamo e Brescia, hanno offerto lo spettacolo di tre Natività di grandi artisti, Moretto, Savoldo e Lotto, che sono esposte per il consueto appuntamento a Palazzo Marino. È un asse pensato in vista delle capitali della cultura 2023. Ma intanto è un asse che si è costituito attorno all’immagine del Natale.



Sempre a Milano, al Museo Francesco Messina sono arrivati gli stupefacenti presepi in valigia di un artista siciliano tutto da riscoprire, Salvatore Incorpora. Ai presepi contemporanei è stata dedicata una mostra a La Spezia: e ce ne sono anche di grandi artisti come Maria Lai e Fausto Melotti.

A Lecco si rinnova quella che è ormai una tradizione: appuntamento con tre Natività del ’500 a Palazzo delle Paure, con visite guidate affidate agli studenti delle superiori. A Torino, le persone si mettono in fila per ammirare lo straordinario presepe di Francesco Artese.

E intanto a Napoli, al Museo d’arte moderna, si può ammirare un altro presepe, quello regalato alla città da Jimmie Durham, grande artista americano, di origini cherokee, morto poche settimane fa.



È un elenco certamente del tutto incompleto, ma rende l’idea e soprattutto restituisce quel desiderio di “vedere” il Natale che non cala di intensità, nonostante il processo di secolarizzazione continui a guadagnare terreno nella nostra società. C’è da chiedersi il perché di un fenomeno come questo. Ci sono tante risposte possibili, di carattere per lo più sentimentale: è un fenomeno spiegabile con l’attaccamento ad una bella tradizione alla quale tutti siamo affezionati.

Ma forse c’è anche una risposta più strutturale: noi abbiamo bisogno del Natale. Il Natale ha uno statuto speciale, perché non è solo un qualcosa che è accaduto duemila anni fa ma è qualcosa che riaccade nel presente. Non è semplicemente memoria di una circostanza che ha segnato la storia, ma è commozione nell’oggi; è desiderio, nella stragrande maggioranza dei casi non detto e anche non cosciente, che questo si rinnovi. Il presepe, come i quadri con le Natività, rappresentano la forma semplice e immediata con la quale questo desiderio trova accoglienza.

Il Natale insomma, per sua natura, è storia in atto, è storia sempre aperta sulla nostra storia. “Nascita Aperta” è infatti il titolo che un’artista, Emma Ciceri, ha dato ad un’opera, davvero emozionante, realizzata quest’anno. È un video che ha avuto la possibilità di girare con sua figlia Ester, davanti alla Pietà Rondanini di Michelangelo. Non è naturalmente la rappresentazione del Natale, ma ne è una metafora, meravigliosa perché vissuta istante dopo istante. Il rapporto tra la madre e la figlia, portatrice di fragilità, è esperienza di una nascita che si rinnova. Una nascita in atto, proprio come il Natale, capace di abbracciare tutta la vita. Compresa la sua fine.

Non c’è contraddizione nell’aver voluto girare il video con quel titolo davanti ad un capolavoro che rappresenta Cristo morto retto dalla Madre. Come ha detto l’artista, per lei quel capolavoro esprime la dimensione infinita dell’amore. La stessa dimensione che è al cuore del Natale e che ce lo rende così “necessario”.

Al video citato è dedicato il libro di Emma Ciceri “Nascita Aperta” (Boîte Editions 2021)

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