In un mondo dallo stile di vita largamente secolare, le guerre di religione sembravano appartenere ai polverosi archivi della storia. Anche nelle teocrazie i praticanti consapevoli tendono a diminuire, le loro abitudini scendono a patti con le scritture che sono imposte dalla costituzione. Cos’è oggi, poi, una teocrazia? Lo sono la Tunisia, arenatasi dopo il più generoso tentativo di riforme di tutta l’area maghrebina, o il Marocco, monarchia costituzionale con un piede nella tradizione e un altro nella segregazione interetnica? E perché non dovrebbe sembrarci una teocrazia la Corea del Nord, che alla famiglia lungamente regnante ha attribuito anche formalmente un culto dinastico di adorazione secolare?



Le guerre di religione sono rimaste sotto il tappeto degli eventi come il carcere minorile lo è stato troppo a lungo per il diritto penitenziario. Salvo (le une e l’altro) riesplodere nella continuità della loro evidenza. Lo abbiamo visto nel conflitto tra Russia e Ucraina, nel quale il posizionamento delle Chiese nazionali non ha giovato a un senso di conciliazione. E sia detto per inciso: le costituzioni di quei Paesi, la russa e l’ucraina, hanno discipline articolate in modo apparentemente favorevole sia verso le autonomie locali sia verso le minoranze religiose. Divenute lettera morta ben prima dei fatti di Crimea e Donbass. Tra Israele e Hamas si combatte un conflitto che a breve toccherà anche il Libano, ma l’una e l’altra dirigenza (quella di Likud e quella del fondamentalismo palestinese) non sono mai state così intrise di retorica e propaganda religiosa. Il laburismo israeliano è arretrato ovunque nel Paese, persino a Tel Aviv; dall’altra parte, Hamas sembra avere reciso ogni legame con quei partiti della causa palestinese che avevano per decenni fatto proprie le parole d’ordine del secolarismo, del socialismo e del federalismo. A garantire che le guerre di religione non passassero di moda nel mondo multipolare (nella guerra fredda 2.0, nella guerra mondiale a pezzetti … chiamiamo come meglio ci viene la fase di contesto) è stato paradossalmente proprio l’averle dichiarate ufficialmente demodé.



L’Europa, che ha retto il proprio sviluppo su un’idea un po’ generosa e opinabile di pace e non belligeranza, i conflitti più forti della sua storia recente li aveva del resto patiti proprio per contrapposizioni politico-religiose. Ricordiamo, negli anni Novanta, il genocidio dei bosgnacchi (gli slavi musulmani bosniaci), allo smembramento della ex Jugoslavia: un gruppo etnico-religioso che all’epoca era diffusamente umanista, cosmopolita, europeo. Oggi si sentono tornare, nell’entroterra ad esempio bosniaco o kosovaro, argomenti che ci aspetteremmo sulla bocca della propaganda salafita, non presso popoli che hanno sempre avuto componenti laiche e repubblicane.



Appena vent’anni prima nell’Irlanda del Nord fu feroce lo scontro tra i cattolici autonomisti e i lealisti anglicani e protestanti. Lo scontro arrivò, risparmiandosi per fortuna le autobombe e le migliaia di detenzioni politiche, finanche in Scozia, per ragioni di natura evidentemente culturale. I cattolici di Glasgow ed Edimburgo spesso vicini ai socialisti rivoluzionari; i protestanti convinti di dover accettare il bipolarismo inglese (anzi, con espresse simpatie per i conservatori del governo di Londra).

Belfast è una città di medio-piccola taglia, arriva a circa 350mila abitanti solo grazie alla riforma amministrativa che ha creato una sorta di “città metropolitana” (com’è la dicitura nel diritto italiano). I quartieri cittadini risentono ancora fortemente del conflitto di 40-50 anni addietro. Nella socialità, nell’urbanistica, nelle misure di ordine pubblico.

I nazionalisti repubblicani e i lealisti si dividono anche sul Medio Oriente, non da oggi, non dal 7 Ottobre: gli uni da sempre favorevoli allo Stato palestinese, gli altri sostenitori della reazione militare di Israele, circondato da un mondo arabo sovente ostile.

Dovunque ci spostiamo sullo scacchiere del globo, ovviamente, la retorica elettorale che si traveste da geopolitica usa sempre lo stesso trucchetto: vittimismo contro potenze illuminate. Chi ha subito un torto, chi li ha fatti sentendosene legittimato. Il serbatoio dell’argomentazione religiosa, dopo decenni in cui il Concilio Vaticano II aveva consentito di guardare alla cooperazione internazionale anche nel prisma della fede, torna adesso utilissimo a chi vuole soffiare odio, (ri)dividendo il pianeta per bande.

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