Quando due amici si danno un appuntamento per cenare insieme, quando un artigiano crea un’opera, ma anche quando uno scienziato fa una scoperta essi compiono un gesto. Quando i gesti sono completi, quando cioè hanno parti densamente operanti insieme, essi producono una sintesi, cioè ci portano un significato nuovo.



Il gesto (da gerere – portare un significato) per sua natura coinvolge tutta la persona: ragione, affettività, manualità, senso del bello, dimensione pratica, speculativa e comunicativa della razionalità. Anche l’astratta matematica richiede il gesto. Come già diceva il grande matematico Eulero, “c’è più matematica nella mia matita che nella mia testa”.



Si può, quindi, legittimamente leggere l’esperienza umana a partire dalla prospettiva del gesto. E si può affermare che questa prospettiva è più comprensiva di altre, più completa, in quanto dà ragione del momento creativo e sintetico dell’esperienza umana.

Nel suo volume Filosofia del gesto (Carocci, 2021) Giovanni Maddalena, ordinario di filosofia teoretica e noto studioso del pragmatismo, propone in modo chiaro questa tesi, già anticipata in precedenti lavori. Riprendendo Mead, “il gesto è un modo iniziale di pensare e conoscere, non una forma primitiva di espressione di un pensiero formatosi indipendentemente dai gesti” (pagina 14). Ma il breve volume ha il pregio di valorizzare anche altre prospettive filosofiche come quella analitica oggi in voga, la quale si sofferma sul momento successivo dell’analisi e delle distinzioni e di abbozzare, quindi, una prospettiva filosofica completa. A differenza del giudizio e del pensiero analitico, quello sintetico riconosce l’identità in un cambiamento come quando si riconosce che una persona, nonostante i mutamenti avvenuti, è pur sempre la stessa persona (pagine 29-30).



Maddalena mostra efficacemente come la prospettiva del gesto permetta di superare dualismi assai frequenti nella lettura dell’esperienza umana soprattutto a partire dalla modernità razionalistica. Si tratta di dualismi come quello fra mente e corpo oppure, nell’esperienza religiosa, di quello fra parola e gesto (già nella preistoria l’attività del pregare e del disegnare erano unite) e nell’esperienza morale quello di una lettura dualistica e schizofrenica della sessualità. Aggiungerei che la centralità del gesto dà ragione della centralità della prospettiva “classica” delle virtù in etica come più sintetica rispetto alle altre, perché comprende creativamente i vari momenti dell’agire morale che analiticamente in un secondo momento si possono distinguere, ovvero quelli centrati sul tema dei doveri (deontologismo) o delle conseguenze delle azioni (consequenzialismo).

Un gesto come quello del cenare insieme fra amici si spiega meglio facendo riferimento alla virtù dell’amicizia, piuttosto che alla correttezza dei precetti di cortesia osservati dai partecipanti o alle conseguenze positive di tale gesto. La prospettiva del gesto ha poi notevoli implicazioni educative, valorizzando tra l’altro gesti come la tanto osteggiata ripetizione e memorizzazione di poesie eccetera.

Inoltre Maddalena, accanto al pensiero sintetico e a quello analitico, si sofferma sul pensiero vago che si colloca in certo qual modo fra le due prospettive: “Un gesto è sempre una determinazione di una realtà vaga che, nel gesto, trova un’universalità ripetibile e comunicabile” (pagina 49). Che la vaghezza sia una caratteristica del pensiero nella sua creatività è testimoniato, per esempio, dalla frequenza negli scritti di Tommaso d’Aquino del termine quodammodo (in certo qual modo) che denuncia la difficoltà di afferrare con precisione la realtà nella sua complessità oppure dalla tematica della polarità (l’opposizione polare di Romano Guardini) che contraddistingue tanti aspetti dell’esperienza umana come i nessi esistenti fra individuo e comunità, maschile e femminile eccetera.

Il tema del gesto in Maddalena, oltre che dai classici del pragmatismo come Peirce, James, Mead, sembra essere sollecitato dalla riflessione di Luigi Giussani che insiste molto sul valore del gesto e la cui interpretazione della concezione tommasiana della verità come adaequatio (adeguazione alla realtà) è di fatto influenzata fortemente dal pragmatismo anche se complessivamente fedele allo spirito del pensiero di Tommaso. E questo perché si tratta di una adeguazione alla realtà che si compie non con la sola ragione, ma con tutto se stessi, attraverso il gesto appunto. La cosa non deve stupire, perché Giussani, studioso del pensiero protestante americano, in particolare di Reinhold Niebuhr, aveva letto le opere di pragmatisti americani come James.

Infine occorre sottolineare che in una prospettiva evoluzionistica come quella oggi ormai dominante il gesto richiede continuamente un atto di fiducia nella corrispondenza fra l’io e la realtà. Come osservano Peirce e James “la verità finirà con coincidere con la realtà, ma nella long run della ricerca” (pagina 70).

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