Le recenti dichiarazioni di Saviano in un’intervista a Marco Damilano su l’Espresso hanno fatto scalpore. L’autore di Gomorra ha affermato: “Basta con le prediche contro l’odio. Io, per esempio, sento di odiare tantissimo” e ancora: “Devo disciplinarmi – ha continuato – per non far emergere in pubblico un odio che provo in modo assoluto. Io odio chi mi ha fatto del male. Odio quelli che stanno dalla mia parte, ma poi mi pugnalano alle spalle perché mi detestano”.
Queste affermazioni trovano buona compagnia in altre frasi shock che occorre qui ricordare: “Dovrebbero intervenire i partigiani del Cnl con lo schioppo” (Alessandro Robecchi su Il Fatto Quotidiano contro Giorgia Meloni) e ancora: “Fossi in Conte, adotterei le stesse misure anti-Covid della Svezia e farei selezione negli ospedali come la Svizzera. Poi, mi preparerei 20 kg di popcorn e 10 casse di birra e mi godrei lo spettacolo di vedervi morire come mosche” (Andrea Scanzi). Il campionario delle rabbiose affermazioni pentastellate e del suo capo filocinese è, poi, a tal proposito, talmente vasto da rendere davvero difficile fare una scelta.
Questa posizione comune a diversi esponenti pubblici pone una serie di domande: è legittimo odiare in politica? E vantarsi di tali sentimenti pubblicamente? Quale la responsabilità dei mezzi di comunicazione nel fare rimbalzare sentimenti neri e oscuri? Quali gli effetti diseducativi nei giovani? La filosofa Martha Nussbaum nel suo libro L’intelligenza delle emozioni (Il Mulino) ha studiato attentamente il rapporto tra sentimenti e politica, dando un aiuto prezioso alla comprensione del fenomeno e ai suoi risvolti etico–sociali. E Pankaj Mishra ne L’età della rabbia. Una storia presente (Mondadori) ha fatto notare che i ritardatari della modernità hanno un violento risentimento contro l’individualismo occidentale, che li spinge alla ribellione e all’attacco.
Ma nei casi citati queste interpretazioni non sono applicabili. Si tratta infatti di persone che vivono in un sistema democratico e non sembrano avere ragioni per odiare: Saviano è ricco e famoso, Travaglio e i suoi hanno realizzato il loro progetto politico, i grillini sono al potere, Scanzi è sufficientemente celebrato. Allora, perché?
La vita reale, a mio avviso, genera talvolta uno spiazzante e contraddittorio capovolgimento di quanto sostenuto prima che mette in crisi. Il secondo Saviano promuove, infatti, una serie televisiva che è il contrario del suo libro, mettendo in luce eroi negativi, che diventano star televisive. Travaglio si trova a difendere il ministro Bonafede e la maxi scarcerazione di boss, tacendo sulla paura sociale generata. Scanzi, telegenico brillante, non riesce ad essere Pietro l’Aretino, perché manca di gusto poetico. E Grillo, dopo il Vaffa-Day, si rende conto di aver prodotto una classe dirigente ancora immatura e incapace di guidare la cosa pubblica in un momento drammatico.
Detto altrimenti, l’odio non è ragione e non ha ragione. Rende incapaci di criticare correttamente, di governare e di aiutare in un momento così difficile. E tuttavia l’odio è una prigionia che per non far morire il soggetto richiede un’apertura. Tutti sappiamo per esperienza che l’odio fa male e ci fa male, chiudendoci in un bunker. Che fare?
A livello politico se si è rosi dall’odio conviene abbandonare il campo da gioco, senza indugio, per evitare la propria o altrui morte sociale. L’odio, infatti, fa avanzare solo la sete di potere e di prevaricazione rapace, non certo “la rivoluzione del servizio” desiderata da Papa Francesco. La politica vera e alta, inoltre, parte solo dalla commozione per il popolo che ha bisogno. De Gasperi, Giordani, La Pira, infatti, non odiavano l’avversario, poiché erano impegnati ad amare fino in fondo la gente in pena e abbattuta dalla vita.
Ma c’è ancor prima un livello personale e intimo di vita che ha bisogno di integrità, per non soffocare. Allora, forse conviene ascoltare, dopo aver aperto gli occhi, Meraviglioso di Domenico Modugno e poi leggere su Buone Notizie del Corriere o su Vita una storia bella di carità e verità. Nel cielo meraviglioso e in una gratuità imprevista emerge sempre un “di più” inspiegabile e straordinario che ci affascina e di cui tutti siamo fatti.
Allora, coraggio; siamo tutti, proprio tutti sulla stessa barca: fratelli tutti. Hans Urs Von Balthasar, un grande maestro, invitava a “Sperare per tutti”, non a odiare e star male o a far star male. Sperare è possibile: oggi è decisivo per il bene nostro e di tutti.