Emergono così anche linee di tendenza diverse, che confermano la rimessa in movimento della poesia tout court, non solo di quella che si esprime con il codice “materno”. Il dialetto, pur essendo una lingua sconfitta, viene dunque risillabato dai poeti, che ne fanno uno spazio di testimonianza, per denunciare le piaghe, le lacerazioni e i traumi del nostro tempo, ma anche un linguaggio nuovo (una “lingua macchiata”, la chiamava Scataglini, perché “reca le stimmate della subalternità e del dominio”), che parte dal presente, dal reale, “dalla nostra carne”, diceva Nadiani.



Bellosi, ad esempio, affronta il senso della vita che sembra venire meno, con una scrittura lieve, quasi sussurrata, che fa leva sulla capacità “personale” del lettore di cogliere la forza magnetica delle parole, anche grazie agli evidenti richiami alla tradizione classica e lirica: “U j è di post/ e s’u j è di pinsir/ in do che e’lom de’ zil/ e’ pê a l’ôra dla nöt/ e al ca, d’un culór môrt coma int i sòni,/ al n’à la vóş d’anciôn” (Ci sono luoghi/ e ci sono pensieri/ dove il lume del cielo/ pare sotto l’ombra della notte/ e le case, di un colore spento come nei sogni,/ non hanno la voce di nessuno).



Spadoni rimanda invece ad una lettura più teatrale del verso, ad una comunicazione condivisa, quasi comunitaria. Lo confermano i numerosi spettacoli teatrali dei suoi testi poetici, proposti in Italia, in Europa e perfino tradotti, soprattutto in inglese: “E i m’ven a di/ che j èn i n’pasa in prisia/ s’i s’armes-cia i lens dal nöti biânchi/ cun i tu gnech a e’ dè./ L’acva e e’ sól/ j’à ariznì e’ curnişon/ e l’è za óra che te t’chembia ca./ .. / E a lè firum coma stêtui d’zez/ a ridaren de’ temp ch’u s’à futì” (E mi vengono a dire/ che gli anni non passano in fretta/ se si mescolano gli ansiti delle notti bianche/ con i tuoi gemiti al giorno./ L’acqua e il sole/ hanno arrugginito il cornicione/ ed è già ora che tu cambi casa./ .. / E lì, fermi come statue di gesso,/ rideremo del tempo che ci ha fottuti). Così come lo confermano l’intera sua opera e i numerosi e recenti premi: gli ultimi dei quali, il “Pascoli” e il  “Pordenone”, ricevuti rispettivamente il 14 e il 19 settembre 2024.



La poesia di Nadiani, poi, col suo fluire ritmato, parlato, carico di contaminazioni plurilinguistiche, ma che non dimentica le parole-chiave del quotidiano, peraltro arricchito di suggestioni simboliche e oniriche, continua ad essere di un’attualità strabiliante, denunciando, in particolare nel suo ultimo periodo poetico, il vuoto dell’opulenza odierna, il malessere individuale e sociale che ci avvolge e la necessità di un recupero delle radici: “L’è e’ temp dl’arcôlt prema de’ sölit/ e’ grân bruşê senza crèsar i tratur a/ fê la fila dnenz a e’ cunsôrzi la/ dmenga senza rispir staiazêda da i/ brench bucalon d’turesta ins i rifles/ dal bike rişa ciàcar e rug par zarchêr/ un po d’ôra par licêr in freza un/ gialê ch’e’ şgozla za fisend d’là/ da ‘l şbar e’ şbarbaiê dl’êria chêlda/ şór’ a i vagon d’un merci férum/ a stê d’astê la prisia ch’pasa e tot a/ sintìr i lens e i mutal dal bes-ci/ i gnec di s-cen ch’i ven da longh da/ d’la d’e’ mêr ins l’onda d’una radio in cofia…” (È il tempo del raccolto anticipato,/ il grano arrostito senza crescere, i trattori in/ fila al consorzio, la/ domenica priva di respiro, frammentata da/ branchi assordanti di turisti sui riflessi/ delle loro bike, risa, chiacchiere, grida alla ricerca/ di un po’ d’ombra per leccare in fretta un/ gelato che già sgocciola, fissando oltre/ le sbarre il tremolìo dell’aria calda/ sopra i vagoni di un merci fermo,/ in attesa che passi in fretta, e tutti ad/ ascoltare l’ansimare e il mugghiare delle bestie,/ i gemiti umani che vengono da lontano, da/ oltre il mare, sull’onda di una radio in cuffia…).

In queste contaminazioni con l’italiano, con gli slang giovanili e le lingue straniere, la poesia neodialettale romagnola ha trovato nuova linfa, si è rimessa in movimento, è tornata ad essere creatrice, seppure meno parlata dalle giovani generazioni, rispetto ad altri territori del Paese, riscontrando l’interesse degli ascoltatori dei sempre più numerosi reading, dei lettori, dei concorsi e – udite, udite! – dei nuovi giovani autori, i quali hanno scoperto nella poesia neodialettale romagnola un modo autentico di scrivere e comunicare. E non pensiamo agli appena, se così si può dire, post giovani come Laura Turci di Meldola, Francesco Gabellini di Cesenatico, o Annalisa Teodorani, guarda un po’, di Santarcangelo di Romagna.

La poesia neoromagnola (ma non solo romagnola) sta vivendo dunque una nuova positiva stagione. Tra l’altro – e il fenomeno è pressoché nuovo in Romagna, salvo poche eccezioni, peraltro già ricordate – va registrata una nutrita presenza di donne poeta. Pensiamo, ad esempio, al “Concorso di poesia nei dialetti d’Italia” intitolato al citato ravennate Giordano Mazzavillani. Voluto dall’associazione Capit e dalla figlia Maria Cristina, presidente onoraria del Ravenna Festival e madrina del concorso stesso, e dal marito, il grande direttore d’orchestra Riccardo Muti, il “Mazzavillani”, nato negli anni 80 del secolo scorso, dal 2025 diventerà annuale e non più biennale, proprio perché non pochi giovani delle scuole superiori romagnole si stanno cimentando con la poesia dialettale.

In Romagna, dunque, la poesia neodialettale, proponendosi in una lingua spuria, estremamente duttile, comunicativa e che sa ben esprimere la contemporaneità, non solo si fa apprezzare, se non di più, almeno come quella in italiano. La poesia è poesia, che sia in italiano o in un dialetto non importa: ormai anche la critica si è resa conto dell’anacronismo di una tale differenza. Essa appare come un fenomeno letterario unico, da non sottovalutare. Potrebbe davvero avere ragione Francesco Biamonti (1928-2001), il grande scrittore ligure (un po’ dimenticato, come Giovanni Arpino (1927-1987) o Fulvio Tomizza (1935-1999), ad esempio), autore di grandi libri come L’Angelo di Avrigue, Vento largo e Attesa sul mare, quando affermava che, se mai tornerà ad esserci, una “nuova letteratura nazionale passerà inevitabilmente dalle scritture regionali”.

(2 – fine)

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