Io, Semiramide è il titolo di in film realizzato a Cinecittà nel 1963 con la regia di Primo Zeglio e l’affascinante (e venefica) Yvonne Furneaux nel ruolo protagonistico. Un peplum a suo modo decoroso: ma certo lontano da ogni riferibilità alle pur molte narrazioni storiche e leggendarie relative ad un personaggio un tempo noto sino a farsi icona della femme fatale dell’antichità, come Nefertiti, come Gezabele, come Cleopatra, come Salomé: eppure oggi ben più di queste dimenticata dalla cultura, d’élite o di massa che sia. Indubbiamente venir a capo d’una qualche documentata verità su costei non è affar semplice.
Il nome deriva da quello di Shammuramat, regina consorte del re assiro Shamshi-Adad V (823-811 a.C.), successore di Salmanassar III. Rimasta vedova, ella fu assai potente alla corte del figlio, Adad-Nirari III (810-783 a.C.), tanto che diverse iscrizioni reali descrivono madre e figlio in uno status di sostanziale co-reggenza. Fu forse per le sue possibili origini babilonesi che Adad-Nirari introdusse a Nimrud e a Ninive il culto del dio babilonese Nabu. Coinvolta anche in spedizioni militari, Shammuramat costituisce il primo caso di una donna portatrice d’una così grande influenza politica in Assiria e nel mondo antico. Tanto da dar luogo più tardi, tra i Greci, alla sua leggenda.
In Erodoto, Shammuramat è indicata come Semiramis e definita una grande sovrana, forse di origine divina, che durante il suo regno (per Diodoro Siculo durato altre quarant’anni) conquistò la Media, l’Egitto e l’Etiopia e realizzò a Babilonia grandi opere civili, come le colossali mura e i celebri giardini pensili, una delle sette meraviglie del mondo antico. Un altro autore greco, Ctesia di Cnido (V-IV sec. a.C.), nei suoi Persikà la dice moglie del leggendario (perché non riscontrato da alcuna testimonianza documentale) re Nino, alla cui morte (da alcuni ritenuta esito d’un complotto della regina) assumerà la reggenza per la minore età del figlio Nynias. Da questi verrà poi uccisa nei tumulti di una congiura.
Per altre fonti sarebbe riuscita a salvarsi e avrebbe perdonato il figlio, per poi suicidarsi, nel rimorso dell’amore incestuoso provato per lui. Un tema questo ripreso dai primi autori cristiani, da Giustino ad Agostino, per i quali Semiramide fu simbolo massimo delle aberrazioni del paganesimo. Ad essi attingeranno i grandi medievali come Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Il primo la pone tra i lussuriosi nel secondo cerchio dell’Inferno (Inferno, V, 52-60) e afferma ch’ella “A vizio di lussuria fu sì rotta/ che libito fè licito in sua legge,/ per torre il biasmo in che era condotta”.
Il secondo la cita nei Trionfi, (Triumphus Fame II, vv. 103-105) e l’ultimo, nel De mulieribus claris, la condanna come ambiziosa, libidinosa e crudele. La rivaluterà e ampiamente, secoli dopo, lo spagnolo Pedro Calderón de la Barca, nel dramma La hija del aire (La figlia dell’aria): “Semiramide fu una donna di immenso valore e grande coraggio nelle imprese e nell’esercizio delle armi. Fu sposa del re Nino, che diede il nome alla città di Ninive, e diventò un grande conquistatore grazie all’aiuto di Semiramide, che cavalcava in armi al suo fianco. Egli conquistò la grande Babilonia, i vasti territori degli Assiri e molti altri paesi. Questa donna era ancora molto giovane quando Nino venne ucciso da una freccia, durante l’assalto a una città. Dopo aver celebrato solennemente il rito funebre, la donna non abbandonò l’esercizio delle armi, anzi più di prima prese a governare e realizzò tali e tante opere notevoli, che nessun uomo poteva superarla in forza e in vigore. […] Oltre a queste conquiste, Semiramide fece ricostruire e consolidare la città di Babilonia, con nuove fortificazioni e grandi e profondi fossati tutt’intorno”.
Non passerà un secolo e la controversa regina assiro-babilonese si troverà ad essere la protagonista prediletta d’una serie di melodrammi per musica, i cui due fondamentali libretti, dovuti a Francesco Silvani e a Pietro Metastasio, saranno utilizzati da Antonio Vivaldi, da Nicola Porpora, da Niccolò Jommelli, da Christoph W. Gluck e da Antonio Sacchini.
Tuttavia il contributo più importante alla vicenda letteraria di Semiramide verrà da quel François-Marie Arouet, detto Voltaire, che il 29 agosto 1748 farà rappresentare alla Comédie Française la sua tragedia Sémiramis, preceduta dalla pubblicazione della Dissertation sur la tragédie ancienne et moderne, à Son Éminence M. le Cardinal Querini. Un libello fortemente polemico verso il suo antico rivale, quel Prosper Jolyot de Crébillon, tragediografo epigono di Corneille (e autore nel 1717 di un’assai diversa Semiramide).
La tragedia voltairiana attinge a piene mani dagli storiografi greci e integra l’intreccio con suggestioni vuoi dell’Orestea di Eschilo, vuoi dell’Hamlet di William Shakespeare. Sarà alla fonte voltairiana che il librettista veronese Gaetano Rossi guarderà per quello che Gioachino Rossini vuole come grandioso addio alle scene italiane prima del trasferimento a Parigi. E non al San Carlo di Napoli, ma alla Fenice di Venezia, con un gruppo di cantanti già entrati nel mito e una mise en scène che passerà alla storia come fra le più grandiose del suo tempo.
Il 3 febbraio 1823 il pubblico veneziano rimane stupito e forse interdetto dalla originale bellezza della musica e dalla complessità della concezione drammatica di Rossini. Presto però l’opera si affermerà sui palcoscenici di tutto il mondo. E il ruolo del titolo diverrà il cavallo di battaglia di Giuditta Pasta, di Giulia Grisi, di Adelina Patti; le sorelle Marchisio, Carlotta e Barbara, rispettivamente nei ruoli di Semiramide e Arsace (Ninyas), contribuiranno alla circolazione dell’opera nella seconda metà dell’Ottocento.
Scelta per inaugurare il nuovo Teatro dell’Opera di Roma il 27 novembre 1880, è verso la fine del XIX secolo che Semiramide inizia a scomparire gradualmente dal repertorio. La sua ripresa al Teatro alla Scala nel 1962 (inizialmente destinata da Francesco Siciliani a Maria Callas, poi affidata a Joan Sutherland), sarà l’inizio d’un trentennio in cui la Semiramide di Rossini si mostrerà al mondo come il suo massimo capolavoro nel campo dell’opera seria, nonché (soprattutto negli splendidi allestimenti di Pier Luigi Pizzi o di Arnaldo Pomodoro) il vertice di quella che ormai è passata alla storia come la Rossini-Renaissance.
E forse anche qualcosa di più singolare. Perché a ben valutare libretto e musica, al fondo la Semiramide di Rossini è l’ultima opera barocca: per quel suo proporre ad oltranza l’arte dello stupore, la “meraviglia” come proprio approdo definitivo, come culmine esaustivo di un’estetica che nell’intrico di voluttà, di crudeltà, di eroismo, nei ghirigori fantastici della vocalità, nella prodigiosa “macchinosità” delle scenografie, prendeva ragione d’esistenza ed esito supremo di genio. Massimo spicco del nome di Semiramide nell’arte. E maestoso occaso non di una, ma di più epoche insieme.
Sì che a tal regale nome, comunque inquietante, si potrà dare solo un ultimo ed eccentrico riscontro: quello d’esser stato portato da tale Elisa Gazzo da Brescia (1907-1962), una delle veggenti più accreditate del tardo ventennio fascista e del primo dopoguerra in Italia. L’ottimo libro Semiramide. Una veggente nel Novecento da Mussolini a Nilla Pizzi, edito nel 2022 da Morcelliana-Scholé e scritto dal giornalista e studioso Massimo Tedeschi, ne documenta la vicenda. Figlia d’arte (sua madre fu una celebre chiromante dell’Ottocento), costei era nata e poi vissuta a Brescia, tra lo studio di via Aleardi e Villa L’Usignolo a Sarezzo. Laureata, ottenne grande attenzione e presto una popolarità elevatissima. Autrice di rubriche per giornali di mezzo mondo e signora elegante e ben inserita nella società del tempo, “Semiramide” svolgeva la sua attività grazie ad una regolare licenza di grafologia e chiromanzia rilasciata dalla Questura.
Predisse il futuro, in modo certo strano per gli indubbi sprazzi di credibilità, a Italo Balbo, a Claretta Petacci come allo stesso Mussolini; a Maria Hardouin di Gallese, vedova D’Annunzio, come a Maria Callas. Scrittori, politici, intellettuali, nomi dello spettacolo facevano la fila nella sala d’attesa del suo studio. Collezionò apparizioni in televisione e venne intervistata da radio italiane e straniere. Semiramide fu dotata di personalità e sensibilità non comuni – e con una grande cura della dimensione pubblica della sua attività – riuscì a costruire su queste basi un personaggio enigmatico e perturbante, ma non privo di una studiata, abile attenzione all’umanità di chi stava sedute davanti a lei. Tanto da esser idolatrata per qualche tempo da un Paese almeno in parte ancora fiducioso nella magia e negli oroscopi. La sua biografia è in fondo un singolare pezzo di storia italiana del Novecento. Anche se una reductio del mito della possente regina di Babilonia a tarocchi, lettura della mano e pendolino in un salotto nella provincia padana, fa indubbiamente riflettere sulla vanità delle umane cose.
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