Praga, la capitale della Repubblica Ceca, è universalmente riconosciuta come una delle più belle città del mondo. Anche se è sempre più difficile passeggiare tra le vie e i ponti tra la Città Vecchia e Malá Strana senza rimanere imbottigliati in mezzo a migliaia di altri turisti, con un po’ di immaginazione si ha sempre l’impressione di essere trasportati indietro nel tempo di qualche centinaio di anni.
Ma la storia che andiamo a scoprire oggi si svolge lontano dalle pittoresche stradine e dai maestosi palazzi antichi del centro della capitale ceca. C’è un luogo, alla periferia nord della città, non lontano dall’arteria stradale che porta verso Terezín, in cui la sensazione di essere trasportati indietro nel tempo non è per nulla piacevole. Si tratta di un cimitero monumentale in stile cubista: il cimitero di Ďáblice.
Fin dai primi anni del XX secolo, la sezione immediatamente vicina alle mura settentrionali del camposanto fu adibita alla sepoltura dei senzatetto e dei reietti. Poi arrivarono i nazisti, e in quella stessa sezione crearono fosse comuni in cui gettare i resti delle proprie vittime (tra gli altri: i paracadutisti responsabili dell’attentato a Reinhard Heydrich, operazione Anthropoid). Con la liberazione nella primavera del 1945 gli stessi aguzzini uccisi dai partigiani e dai soldati dell’Armata Rossa finirono seppelliti in quelle stesse fosse comuni.
Con una storia simile alle spalle, fu quasi naturale per il regime comunista instaurato nel 1948 decidere di continuare a utilizzare quei maledetti metri di terra per disfarsi dei corpi delle vittime della durissima repressione degli anni Cinquanta.
Così oggi, percorrendo la stradina che porta alla stele commemorativa degli eroi della resistenza cecoslovacca, si rimane a un certo punto colpiti e ci si sente come circondati da una grande angoscia. Perché, con la stele degli eroi di Anthropoid in vista sullo sfondo, la stradina vede sulla sinistra la zona dedicata alle vittime del comunismo, con un sobrio monumento a ridosso delle mura e decine di lapidi pulite e disposte in maniera ordinata a ricordarne il coraggio e il tragico destino.
Un po‘ più avanti, sulla destra, si trova invece l’agghiacciante memoriale dedicato a un gruppo specifico di quelle stesse vittime. Una scritta incisa su una grossa pietra rivela: “Anni Cinquanta: Cimitero dei Bambini“. Dinanzi a questa grande lapide ci sono due mazzi di fiori, un vaso con una pianta e un piccolo orsetto di peluche intirizzito. Sulla parte superiore, qualcuno ha lasciato una macchinina. Dietro si intravedono due file ordinate di lapidi. Qui giacciono i resti dei figli delle prigioniere politiche detenute nella prigione di Pankrác. Le lapidi sono 43, ma i bambini sepolti lì sotto sono molti di più.
Si tratta di bambini e neonati morti di stenti, per la mancanza totale di cure da parte del personale del carcere praghese. Ma in molti casi i piccoli morirono a seguito delle percosse degli aguzzini, che picchiavano i neonati davanti alle proprie madri, nel tentativo di ottenere una confessione o una delazione. In altri casi i bambini venivano semplicemente sottratti alle madri dopo il parto, con false rassicurazioni riguardo al fatto che sarebbero stati trattati bene, per poi recapitare alla malcapitata di turno il certificato di “decesso per cause naturali“ del proprio bambino.
Molte lapidi sono praticamente illeggibili, e forse è meglio così: “Qui riposa Staňa Reithar, 5-5-1953 – 28-5-1953”. E ancora: “Qui riposa Boženka Jišová, 16-2-1959 – 8-5-1959”…”Dagmarka Vaněčková, 31-12-1955 – 4-1-1956”.
Ricostruire le vicende di tutte queste vittime è praticamente impossibile: i documenti ufficiali dell’amministrazione carceraria hanno scarsa attendibilità (certificati di “morte naturale“…), mentre quelli del cimitero sono in gran parte andati distrutti in un incendio nel 1968, proprio quando, grazie alle riforme di Dubček, si iniziò a cercare informazioni sul destino di tutte quelle madri e dei loro bambini e anche di quelli che furono invece sottratti per essere dati in adozione alle famiglie dei funzionari delle varie agenzie di sicurezza e di gestione carceraria.
Oggi si continua a cercare, con la consapevolezza che non si arriverà mai a ricostruire tutto con precisione, come non si riuscirà mai a definire l’identità di tutti quegli innocenti i cui resti sono sepolti in quell’angolo di camposanto alle porte di Praga. Ma la memoria resta importante: lo testimoniano i piccoli particolari come i giocattoli e i fiori o i lumini che tuttora adornano questo luogo di dolore. Lo testimonia anche la commemorazione organizzata ogni anno dall’Associazione “Bez komunistů“ (Senza comunisti), in occasione della Giornata Mondiale del Bambino, che di solito si celebra il 1° giugno.
Probabilmente questi dettagli non bastano per trovare consolazione davanti all’orrore testimoniato dalle 43 lapidi del Cimitero dei Bambini di Ďáblice. Ma la memoria è il seme indispensabile per impedire che un male simile possa accadere di nuovo. Serve speranza in qualcosa che Havel indicava in un’intervista all’International Herald Tribune nel 1990: “La salvezza per questo mondo non si trova in nessun altro luogo se non nel cuore dell’uomo; nella capacità umana di riflettere (…) nella mitezza e nella responsabilità di ciascuno“.
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