In linguistica si distingue tra parentela e affinità linguistica: sono parenti le lingue che discendono da un unico ceppo primitivo e affini le lingue che hanno sviluppato somiglianze dopo un periodo di contatti e di commercio linguistico. Anche il codice civile distingue tra parenti e affini: parente, dal latino parens, propriamente “genitore”, contiene l’idea della generazione (parere “mettere al mondo”), come peraltro il suo equivalente genitore (gignere “generare”): invece con affinità si intende nel linguaggio giuridico il vincolo fra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge (cognati, generi, nuore, ecc.). Il termine congiunto, venuto prepotentemente alla ribalta proprio in questi giorni, si è affiancato ora ai due termini fondamentali, e quindi merita una piccola riflessione sulla sua storia.
Naturalmente congiunto è il participio passato di congiungere, nel quale riconosciamo un composto di giungere. Il valore di quest’ultima parola è cambiato (o, più precisamente, si è ristretto) nel corso della storia. In origine giungere significa “unire, mettere insieme” o anche “aggiungere” e solo saltuariamente raggiungere. La lettura dei testi mostra che il valore più usato era quello di “collegare”, valore che oggi sopravvive in qualche espressione fissa come a mani giunte. Il significato di “arrivare” (giungere alla meta) che nel lessico di Tommaseo (1861) è ancora registrato come «non comune» è poi diventato prevalente.
La varietà di significati ha avuto conseguenze anche sui derivati del verbo. Da giungere si ha giunta, che può intendersi o come “l’azione dell’aggiungere” (la giunta che il negoziante dà come omaggio sul bene acquistato, oppure nel lessico tecnico della marina le giunte come pezzi aggiuntivi di una vela) o come l’azione dell’arrivare in un posto (Ariosto: fu la sua giunta grata, cioè gli fu gradito il suo arrivo). Dal primo valore è nato giunta come termine tecnico della politica: una commissione di persone che si aggrega e coadiuva chi ha una determinata carica assumendosi specifiche responsabilità. Il sostantivo sopravvive oggi anche nella locuzione per giunta.
Facendo un passo indietro, giungere è dal latino iungere. La parola fa capo a una radice indoeuropea molto produttiva, ricostruita come *yeug– “legare insieme”: i termini che ne derivano sono molti e disseminati praticamente in tutto il territorio linguistico indoeuropeo: *yugo- “giogo” è lo strumento utilizzato per aggiogare i buoi: lo troviamo dall’India (sanscrito yuga) all’ittita (yugan) alla Grecia (zygón) al mondo germanico (inglese yoke e tedesco Joch) e slavo (russo igo); in latino è iugum, da cui l’italiano giogo (e gli equivalenti nelle altre lingue neolatine). Collegato alla radice è iugulum, il punto di giuntura fra collo e petto, dove passa la vena giugulare.
Derivato importante è coniux “il coniuge (marito o moglie)”, la persona legata affettivamente e legalmente a un partner, un termine che esprime in modo efficace un’ideale comunione di vita e di sentimenti. Le parole poi che dalle varie lingue sono approdate all’italiano costituiscono un tesoro pressoché inesauribile di termini dai significati più vari: dalla Grecia vengono termini tecnici della retorica come zeugma (la figura retorica per cui dallo stesso verbo dipendono due oggetti, uno dei quali formalmente inadatto: come dice a Dante il conte Ugolino, parlar e lagrimar vedrai insieme) o dell’astronomia come sizigia (congiunzione astronomica), dall’India viene yoga “congiungimento con la realtà ultima e insieme aggiogamento dei sensi”, nota e diffusa dottrina filosofica e religiosa oggi ben nota anche in Italia.
E torniamo ai congiunti. In origine congiunti sono i coniugi: con congiunto o congiunta si indicano il marito o la moglie, e poi per estensione gli appartenenti a un gruppo familiare (congiunti di terzo, quarto grado): spesso la parola appare come semplice precisazione di parenti per indicare i familiari più stretti (parenti congiunti), e solo successivamente acquisisce una sua autonomia (i congiunti) nel senso generale di familiari.
Per la verità l’uso della parola non è molto diffuso, e il più delle volte essa appare in iscrizioni o annunci sepolcrali, dove vige un linguaggio formulare che si trasmette inalterato attraverso le generazioni: i congiunti (in genere mesti, afflitti, addolorati) posero.
Diamo al Decreto di Conte il merito di avere ridato vitalità a una parola in tendenziale decadimento e di averne ampliato il significato, indicando come congiunti non più solo i familiari, ma anche le persone con cui si è in un qualche rapporto affettivo, anche amicale. Peraltro il valore esatto del termine e i suoi confini semantici saranno determinati dall’uso che la comunità linguistica farà della parola: né i decreti ministeriali né le Faq del ministero sono in grado di modificare più che tanto il naturale svolgimento di una lingua.