L’istituto di sondaggistica Swg ha fatto sapere che quasi due italiani su tre si dichiarano d’accordo affinché lo Stato controlli gli spostamenti dei cittadini anche senza il loro consenso, limitatamente al periodo di emergenza dell’epidemia. Il 64% si è poi dichiarato d’accordo anche all’ipotesi di far indossare i braccialetti alle persone in quarantena. Strada spianata quindi. O no?
Non per Shoshana Zuboff che con il suo libro appena edito da Luiss University Press e in America da Public Affairs promette di puntare i riflettori su quel sottile senso di disagio che si insinua in noi leggendo anche solo il titolo: Il capitalismo della sorveglianza. Il sottotitolo è già tutto un programma: “Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri”.
Il libro esordisce sottolineando come la “civiltà dell’informazione”, quella dentro il cui flusso siamo immersi ogni giorno, sia determinata da un costante, sottinteso, senso di angoscia. Un sentimento universale che deriva dalla evidenza che ormai non esiste più “una casa”: non esiste più cioè un diritto alla privacy perché la conoscenza – e il suo uso/abuso – è stato usurpato da un mercato aggressivo che ritiene di poter così gestire unilateralmente le esperienze delle persone e le conoscenze che da esse ricava. È il capitalismo della sorveglianza, bellezza, ed è solo l’inizio.
Mentre si affonda all’interno delle pagine – centinaia ma mai ripetitive – emergono i contorni di quello che l’autrice non esita a definire un “nuovo regime”. Perché il capitalismo della sorveglianza, ci spiega Zuboff, opera a partire da un’asimmetria senza precedenti nella storia dell’umanità: “loro” sanno tutto “di noi”, mentre per noi è impossibile sapere quello che fanno.
Ma di chi stiamo parlando? Parliamo innanzitutto di una nuova forma di mercato che si sta affermando ormai da dieci anni e alle nostre spalle. Un mercato che segue – come è ovvio – una logica dell’accumulazione ma non di risorse fisiche e tangibili. Per questo mercato, la sorveglianza è il meccanismo di base attraverso cui l’investimento viene trasformato in profitto. Attraverso cioè processi computazionali automatizzati e onnipresenti, Google, Facebook e altri pochi grandi player estraggono infiniti dati dalla nostra presenza online per poi tramutarli in statistiche comportamentali.
Quanti di voi hanno mai pensato, dopo aver visto una pubblicità sul proprio telefonino: “il mio cellulare mi sta ascoltando!”. No, non vi sta ascoltando, semplicemente perché non ce n’è bisogno. La quantità di dati che cediamo ogni giorno online attraverso app, programmi, siti, webcam, acquisti, è più che sufficiente ormai a determinare una ragionevole probabilità statistica di ciò che ci piacerà mangiare, di dove ci piacerà viaggiare, di cosa vi piacerà acquistare. L’utente di internet – ci avverte Zuboff – non è più quindi ormai uno scopo ma piuttosto un mezzo per raggiungere gli scopi di altre persone, il tutto in un contesto di monopolio di fatto da parte di pochi grandi player.
Chi sono queste altre persone? Sono le aziende, disposte a pagare milioni per poter ricevere un servizio di “targeted advertising”, la “pubblicità targettizzata” che ha spianato a Google la propria strada verso il successo finanziario planetario. “Espropriando” l’esperienza umana e soggiogandola ai meccanismi di mercato del capitalismo, Google (insieme a Facebook e altri) vende “previsioni di comportamento” a famelici inserzionisti. L’azienda ha così creato dal nulla e con zero costi marginali una classe di beni basata su materie prime derivate dal comportamento online e – cosa ancora più importante – offline. Perché il capitalismo della sorveglianza secondo Zuboff è vorace e violento: cerca sempre nuovi dati da poter mettere a sistema per perfezionare i propri algoritmi pubblicitari.
Ecco così dunque che Google Car, Google Glass, Google City (perché Google vuole costruire anche città e per questo ha una società ad hoc che si chiama Sidewalk Labs) non sono altro che il tentativo di moltiplicare i “punti di osservazione” da parte dei capitalisti della sorveglianza verso la tua vita. Non è la Google Car che conta insomma, ma i dati comportamentali che procura. Non è Google Maps che conta, ma i dati che derivano dalle interazioni con la mappa. L’idea di base è quindi la continua espansione dei confini della descrizione del mondo e di quel che contiene, fino ad arrivare – e questa è la punta più avanzata del ragionamento di Zuboff – perfino alla “analisi delle emozioni”.
Perché arrivare addirittura a usare i sensori e i dati da essi ricavati per modificare il comportamento degli utenti non è molto lontano. Lo sa bene chi sta già sperimentando forme di applicazione per il “credito sociale”, acconsentendo con il proprio tracciamento a vedersi riconosciuti i comportamenti “buoni” e “cattivi”, vedendosi assegnati automaticamente ricompense e punizioni. Il governo cinese sta sviluppando un piano appositamente destinato a questo scopo (si chiama Zhima Credit).
Ma perché preoccuparsi? In fondo, a chi non fa piacere vedere pubblicità adeguate ai propri interessi, essere coccolati e viziati da annunci dedicati e da prodotti personalizzati? Perché non esiste un’agenzia governativa che cerchi di essere un ostacolo all’avanzare furioso di questi capitalisti della sorveglianza. Non esiste un’autorità pubblica che supervisioni lo sviluppo, la distribuzione, la vendita e l’uso di algoritmi complessi. Eppure, proprio ora ne avremmo bisogno.
Come scrive Anne Applebaum su The Atlantic, “nel corso della storia le pandemie hanno regolarmente provocato un’espansione dei poteri dello Stato”. Nel 1348, mentre la peste nera devastava l’Europa, le autorità di Venezia chiusero il porto cittadino alle imbarcazioni provenienti dalle zone più colpite dalla malattia, costringendo i viaggiatori a un isolamento di trenta giorni, poi diventati quaranta (da questo episodio deriva il termine quarantena).
Corriamo il rischio di non vedere allargarsi a dismisura i poteri dei governi nazionali (per quanto certe cronache ungheresi ce lo facciano presagire) ma piuttosto l’espandersi senza controllo, e anzi con il beneplacito pubblico, della capacità da parte dei capitalisti della sorveglianza di estrarre dati dal nostro comportamento quotidiano.
Speriamo di non chiudere le porte di questo isolamento volontario e di svegliarci un giorno per scoprire che le chiavi della porta sono state prese da qualcun altro mentre stavamo dormendo.