Quando un professore universitario di filosofia raggiunge la fine di una lunga carriera può accadere che si volga indietro a riflettere su ciò che maggiormente lo ha colpito e che giudica più importante nella vita e nel lavoro di ricerca. E può accadere anche che si permetta il lusso di cercare di essere più sincero, alternando riflessioni amare sulla vita e sulla storia e, insieme, sorridente ironia. Questo accade nel volume Etica del filosofare. Frammenti ironici che ho pubblicato recentemente presso Il Melangolo. Il fatto che si tratti di frammenti di pensieri personali, ma spesso anche di classici cui si accostano brevi commenti, rende la lettura più agevole. Si può, infatti, saltare a piacere da una parte all’altra, tanto più che i frammenti sono preceduti da brevi titoletti orientativi.



Il volume, che ha in buona parte l’accento autobiografico di una filosofia che si fa vita e di una vita che si fa filosofia, ripercorre  i grandi cambiamenti della politica e  della vita affettiva, della cultura e della ricerca filosofica avvenuti rapidamente negli ultimi decenni. Esso lo fa con uno sguardo particolarmente attento al problema del senso della vita (la vita senza ricerca del senso e senza impegno serio con quello che si è individuato come degno di essere perseguito è paragonata ad una sala d’aspetto in cui si aspetta passivamente la morte).



Tali mutamenti sono evidenti a partire da eventi come il Sessantotto, su cui ci si sofferma in modo particolare. Essi risaltano in modo macroscopico nella rivoluzione sessuale con le sue conseguenze sul piano dell’autonomia della donna, della denatalità e dell’indebolimento del ruolo del maschio (“Brusche oscillazioni sul sesso”), in quella che è chiamata  ironicamente “Metamorfosi del movimento” (dai movimenti rivoluzionari e popolari al movimento fisico vissuto con altrettanta estrema serietà) e nella “grande invasione dei cani” che hanno riempito in breve tempo le nostre strade denunciando una sempre più crescente solitudine dell’individuo.



Pur amando profondamente il lavoro di ricerca e la  didattica e stimando l’amicizia con i colleghi, non risparmio critiche al mondo intellettuale che frequento da lungo tempo. Il lavoro di ricerca universitario di per sé non garantisce che si ricerchi sinceramente il senso della vita, che si sia veramente critici sulle cose che contano, sulle proprie fedi implicite spesso mai messe in discussione, ovvero proprio su ciò che è la condizione necessaria per fare buona ricerca in campo filosofico, sollevando le domande giuste e sviluppando quell’attenzione che permette di essere in grado di giudicare con obiettività il proprio tempo. Tanto è vero che spesso gli intellettuali  si limitano a vivere di reazione (“Ad ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria”), ma di una reazione che spesso sbaglia obiettivo, perché in una epoca di rapidi mutamenti si rivolge spesso inevitabilmente a nemici che ormai non esistono più (“La lotta contro i fantasmi”). Nel libro si ironizza pure sull’esaltazione compiaciuta e un po’ ideologica dell’apertura intellettuale, sottolineando che questa, quando è autentica, non è frutto dello scetticismo, ma presuppone pur sempre un’esperienza e delle certezze radicate.

Il volume consta di frammenti riguardanti anche le diverse discipline filosofiche, in particolare la storia della filosofia, la metafisica, l’antropologia, la filosofia pratica. Particolare risalto è dato ad autori in genere poco conosciuti in Italia negli ambienti filosofici come Tommaso d’Aquino e John Henry Newman. Le correnti filosofiche contemporanee come l’ermeneutica, la filosofia analitica, la fenomenologia, lo stesso tomismo sono valorizzate, ma anche criticate qualora siano assolutizzate. Ma questa parte “filosofica” è preceduta e seguita da osservazioni su momenti della storia universale, sulla religione, sul cristianesimo e la Chiesa e infine sulla bellezza. Come afferma Simone Weil, autrice spesso citata, “una sola cosa rende sopportabile la monotonia: una luce d’eternità. La bellezza”. Alla bellezza sono dedicate anche considerazioni particolari su singoli aspetti e momenti dal significato simbolico: dalla montagna al mare a città come Roma, alla musica, all’attività sportiva, alle vacanze (“Il pietoso ufficio della vacanza”).

Nel volume non faccio mistero della mia appartenenza cristiana e confronto la proposta di Cristo con il mondo di oggi, in particolare tematizzando la radicale alternativa fra fede e agnosticismo o negazione di Dio, con il tema della morte (“La noia infinita del paradiso”), con gli scandali della Chiesa e con le altre religioni. L’attenzione alla criticità,  a non farsi degli idoli, a conservare una giusta medietà fra opposti rischi, come la barca a vela che solca decisa il mare deve essere continuamente bilanciata (“Veleggiare”), costituisce un po’ il leit motiv del volume.

Alcuni giudizi appaiono taglienti e almeno in apparenza anche fra loro discordanti o comunque in reciproca tensione (forse in nome dell’opposizione polare del più volte citato Romano Guardini), non permettendo sempre di catalogare facilmente la posizione di chi scrive. Il volume riesce così talora a disorientare il lettore che desiderasse incasellare in qualche modo le mie posizioni. E questo potrebbe anche essere un bene se spezza schemi consolidati e così, come mi auguro, invita a pensare.

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