È venerdì 10 aprile 2020, il Venerdì Santo della quaresima più stramba e dissennata dell’ultima era cristiana. Sono le 21.00 quando, nel silenzio spettrale di Piazza San Pietro vuota, una campana fa scoccare l’ora X della Via Crucis: “Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo (Amen)”: il Vicario di Cristo in terra rompe il ghiaccio. In lontananza, appena sotto l’obelisco, una ciurma di uomini e donne tiene alta una croce di legno: sostengono lei, lei sosterrà loro in questa perlustrazione lunare fatta più col cuore che con i piedi.
In nome di Dio, a nome dell’umanità crocifissa.
Quando il Papa alza lo sguardo, più che una piazza vuota incrocia il Cristo di San Marcellino al Corso, quello che salvò Roma dalla grande peste del 1525.
L’hanno posizionato lì, appena in fondo alla scalinata, in fronte al Papa.
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“Sono le 20.30, è Venerdì Santo: mi sto preparando ad assistere alla Via Crucis che andrà in diretta in televisione. Sono nella mia cella, seduto sul letto con le gambe a volte incrociate e a volte dritte. Sono dritto con la spalla, ho due cuscini che tengo stretti al petto: me li abbraccio. Sono immerso in pensieri profondi quando inizia la diretta: si vede la piazza con poche anime a riempirla. Il Papa è in silenzio, sta in piedi, tiene lo sguardo rivolto verso la croce. Io non so cosa stia pensando, ma provo ad immaginarlo: “Perché stai tu in croce e non io, Dio mio?”. Mi sento tutto dentro questa Via Crucis: questo buio che vedo non è cattivo, rappresenta così bene la mia anima che mi permette di entrare in punta di piedi nella piazza. Questo vuoto, per me, è un disegno (di Dio): non c’è la mondanità, la confusione, la distrazione. È così intenso e brillante che ogni parola letta risuona nella mia mente e mi aiuta a capire il senso. Sto seduto sul letto della mia cella ma, al tempo stesso, mi sento troppo dentro quella piazza. Guardo il volto del Papa: pare inebriato dalle cose che stanno succedendo, ha una dolcezza rara nel viso.
In piazza mi sembra ci siano i dodici apostoli col Maestro.
Quando è arrivata la stazione scritta da me – settima stazione, “Gesù cade per la seconda volta” – mi sono voltato verso il mio compagno di cella e gli ho detto: “Questo sono io!”. Stavolta, però, non l’ho detto con vergogna, ma con piacere: mi sentivo fiero per aver messo la mia nudità davanti a tutti. Era come se stessi dicendo: “Eccomi, non ho più paura del vostro giudizio, ho voglia di raccontarvi me stesso, tutte le mie cadute con sincerità”.
Mi sentivo come un bambino che ha fatto la pace.
Rimarrà una serata indelebile, questa: non è stata la solita Via Crucis, con la solita folla del Colosseo. È stata una Via Crucis con le storie delle persone di oggi che hanno dato testimonianza della propria lotta tra il bene e il male. Nella mia vita poche cose mi hanno dato un’emozione così: tante notti, in cella, sono state insignificanti. Nella notte del Venerdì Santo di quest’anno, la mia cella era brillante di speranza e di voglia di riscatto.
Non sono mai stato così bene come in quella notte: ho sentito rinascere il bambino che sono sempre stato. Sono rinato bambino un’altra volta”.
(Email scritta da uno dei cinque ragazzi detenuti coinvolti nella Via Crucis)
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“Vi benedica tutti Dio Onnipotente ch’è Padre, Figlio, Spirito Santo” (Amen).
Il Papa, scortato da monsignor Guido Marini, rientra nell’atrio della basilica: il passo è traballante, la sua schiena è una torre che dondola, lo sguardo è quello di un timoniere capace d’intravedere nelle onde la traiettoria della salvezza.
Lo guardo entrare, guardarsi attorno, passare di mano in mano: distribuisce grazie dappertutto. Quando mi passa davanti, mi consegna la croce: “Questa è per voi, portala in carcere”. È semplice, nera, scarna: sembra la faccia di Primo Carnera, il lottatore di Sequals. Anche questa croce racconta di un’attraversata e di una lotta. Di un porto al quale abbiamo attraccato la nostra scialuppa.
Quando mi abbraccia, sento l’abbraccio di Pietro.
In questa notte di tempesta, d’attesa, è la stessa barchetta di sempre, quello della prima volta: la sua forza, però, è quella di un cacciatorpediniere.
È appena rientrato da un salvataggio in alto mare.
Sale in macchina, allontanandosi lento.
Fuori, sulla piazza, un silenzio di tomba: Cristo è deposto nella tomba.
Anche i gabbiani sono andati a letto: la rondine si sta asciugando.
Appena dentro la Basilica, sulla destra, una statua mi porge la buonanotte: è La Pietà, genio michelangiolesco. Rivedo Enea e Anchise, Achille e Patroclo; ci sono i camioncini dell’Esercito Italiano con le bare dentro in cerca di un cimitero. Splendono i volti dei milioni di volontari che, in tutto il mondo, raccolgono con pietà e giustizia gli avanzi delle galere. Gli scarti dell’umanità.
In un lampo rivedo il mondo intero, in affitto dentro quello sguardo di Madre.
Buonanotte, Pietro!
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Sarà in libreria, da domani 3 giugno, per Rizzoli, “I gabbiani e la rondine. La Via Lucis di Papa Francesco” (pagine 176, euro 10), di Marco Pozza, dottore in teologia e cappellano del carcere di Padova. È il racconto della Via Crucis celebrata il 10 aprile scorso da Papa Francesco nel pieno della pandemia: non al Colosseo ma nella piazza San Pietro deserta. Le parole provengono dalla parrocchia del carcere di Padova.