Per uno strano cortocircuito cronologico, che fa pensare più che altro a una distrazione di qualche ufficio stampa italiano, lo stesso giorno abbiamo ricevuto l’annuncio del Premio Nobel della letteratura e del Premio Strega, sezione poesia, al suo anno inaugurale. La sovrapposizione mediatica sarebbe grave, se non riguardasse in fin dei conti la letteratura, faccenda che in definitiva interessa poco e di cui sappiamo sempre meno cosa farcene, come conferma appunto questo evitabile incidente.
Il premio Nobel è stato assegnato al norvegese Jon Fosse, classe 1959, conosciuto soprattutto come drammaturgo (qualcuno l’ha definito il Dario Fo norvegese, suppongo per fargli un complimento) ma che già da ventenne ha esordito come romanziere, dimostrando talento per la narrativa breve, la poesia, la saggistica e la letteratura per l’infanzia. Non è un autore conosciuto ai più, tantomeno in Italia, dove pure sono stati pubblicati oltre una decina di suoi volumi.
L’Accademia svedese del Nobel ha motivato il premio “per le sue opere teatrali e la sua prosa innovativa che danno voce all’indicibile”, secondo l’ineffabile stile adottato da anni, di dire tutto e non dire niente attraverso l’utilizzo di triti luoghi comuni che potrebbero andare bene per qualsiasi autore. Vedremo se Jon Fosse è davvero uno dei cento geni del mondo, come pare abbia scritto un giornale inglese. Certo colpisce la sua dichiarazione di essere “sorpreso ma non troppo” dal Nobel. Chissà che intendeva.
Il 5 ottobre il pubblico ha saputo del vincitore del primo Strega Poesia dopo essersi sorbito uno spettacolino in cui ai poeti, evidentemente non abbastanza allettanti per sostenere la serata, sono stati affiancati rapper, cantanti, e sedicenti cantautrici di poesia. Particolarmente imbarazzante una certa Maria Antonietta, annunciata come cantautrice e poetessa, che ha letto, forse cantato, Cristina Campo maneggiando un mixer infantile. L’organizzazione della serata è risultata coerente con l’esito finale: ha vinto Vivian Lamarque, l’autrice più pop della cinquina. I suoi testi semplici e immediati erano i più adatti a convincere la giuria popolare, il cui giudizio si brucia tutto nell’ascolto di qualche poesia letta al microfono. Ciò è accaduto in modo contrario alle previsioni di molti di noi, che davano favorite le poesie di autori in cinquina più sostanziosi rispetto al dettato a tratti persino infantile di Lamarque. Ma forse un’epoca sta davvero finendo.
La spiegazione sta nella virata che negli ultimi anni si sta dando, all’opposto del Nobel, alla percezione pubblica della poesia. Il filone più robusto, serio e impegnato è avvertito come intellettualistico, difficile se non astruso, chiuso in una torre d’avorio, e spesso è con un certo fastidio che si pensa alla poesia, ritenuta quasi esclusivamente un retaggio scolastico. Così alcune operazioni, come l’antologia affidata a Jovanotti o il fenomeno Arminio, denunciano questa situazione e intendono ovviarvi, a favore di una diffusione più popolare e allargata della letteratura. Poco importa se ci sia dietro un progetto di tipo commerciale, che è lo scopo autentico dell’istituzione della sezione poesia nello Strega (cosa già dimostrata per la narrativa e le altre sezioni). Il popolo, opportunamente sobillato, si ribella all’ermetismo, muoia Montale e tutti i filistei.
Si assiste dunque al trionfo delle giurie popolari, non solo allo Strega. I premi versiliani, in una terra particolarmente affezionata a queste manifestazioni, stanno lì a confermarlo: ad esempio il Viareggio di narrativa è stato assegnato a Niccolò Ammaniti, quello di poesia alla stessa Vivian Lamarque; al premio Camaiore ha stravinto Franco Arminio, portato in trionfo dalla giuria popolare. Difficile pensare che in mezzo al popolo dalle nostre parti si trovino tutti questi esperti di letteratura, in percentuale così alta rispetto ad altri Paesi europei e non solo. Più facile ipotizzare che dietro la falsa democratizzazione della letteratura ci sia la lunga mano del mercato. Con buona pace dei valori reali e sia detto senza rancore per Lamarque, Arminio, D’Adamo, Veronesi, Cognetti e chiunque altro vinca premi. Si brindi pure ai loro successi e si gioisca per l’incremento delle vendite, degli inviti, delle letture, dei compensi. Il resto è letteratura.
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