Sono due donne americane le autrici delle 42 foto in mostra fino al prossimo 22 luglio all’Osservatorio della Fondazione Prada, Galleria Vittorio Emanuele a Milano.
Jamie Diamond ed Elena Dorfman hanno scelto di esplorare, attraverso la fotografia, l’esperienza dell’amore nelle sue espressioni, diciamo così, “normali”: da quella familiare alla romantica fino a quella erotica.
E tuttavia, già nel titolo della mostra – Surrogati. Un amore ideale – si affaccia qualcosa dal sapore inquietante che si conferma e si amplifica di fronte alle foto: scene innocenti di quotidianità vissuta in contesti naturali e realistici come lo sono case, luoghi di villeggiatura, mezzi di trasporto… Situazioni insomma abitate da uomini, donne, bambini che interagiscono tra loro nelle più naturali forme di vita comune: dalla colazione mattutina prima di affrontare una giornata lavorativa, allo scompartimento di un treno che attraversa una campagna ventosa e assolata, a un istante di tenerezza per spegnere il pianto del figlioletto ancora in fasce, fino allo spazio di intimità tra un uomo e una donna. Eppure stridono queste immagini così intense ed efficaci grazie tra l’altro ad una perfetta tecnica di realizzazione.
Con l’aiuto della parola “surrogati” presente nel titolo della mostra, non è difficile scoprire, sia pur con un certo sgomento, che taluni personaggi delle foto sono fatti in silicone o plastica vinilica: si tratta dei cosiddetti reborn, bambolotti dalle fattezze umane, realizzati su ordinazione dalle donne stesse – reborner – che ne curano nel dettaglio anatomie e caratteristiche per consegnarli poi in “adozione per sempre” alle future mamme della community dove l’esperimento si è svolto.
Forever Mothers è infatti il titolo del progetto (2012-2018) firmato dalla Diamond: la sua attenzione si focalizza su problematiche connesse a donne che per infertilità, avversione alla gravidanza, gravidanze compromesse o ancora per compensare la mancanza di un figlio mai avuto o diventato ormai grande, scelgono di creare legami emozionali con reborn.
L’altro progetto, datato 2007-2012, porta esso pure nel titolo un impegno che sottende forse il tacito tremante desiderio di ogni madre, in ogni tempo: I Promise to Be a Good Mother. Peccato che questa “madre perfetta”, impersonata dalla stessa Diamond, si conformi a tutti gli stereotipi del caso coccolando e abbracciando un reborn “concepito” ad hoc.
Prosegue, la mostra, con la serie degli Amanti immobili (2001-2004) dove la Dorfman ci porta in viaggio nel mondo delle sex dolls, o degli uomini che – come sostiene la stessa l’artista – “hanno rapporti sessuali con donne sintetiche di 60 chili realizzate anch’esse nei minimi dettagli”. Questi uomini (e in alcuni casi anche donne) proiettano il loro desiderio sessuale, oltre che affettivo, su bambole a grandezza naturale, messe a punto con altissima precisione anatomica.
Si è dunque evoluto il tamagotchi di antica memoria (anni 90 del secolo scorso) che già ci inquietava per quanto i nostri adolescenti (e non solo) vi si dedicassero, intenzionati a farlo crescere, ad essergli amici, curandolo, se necessario, in modo da tenerlo in vita il più a lungo possibile!
Da bambini – specie le femmine – trascorrevamo gli anni dell’infanzia a “giocare” con le bambole: si volevano emulare i gesti, le attenzioni, le tenerezze di cui i genitori ci avevano resi oggetto quando, ad essere in fasce, eravamo noi!
Poi certi modelli di riferimento sono diventati più evanescenti, meno determinanti e incisivi nel percorso della crescita e dello sviluppo di ogni individuo; i parametri culturali si sono modificati, il soggetto “famiglia” ha perso di mordente e si è, diciamolo pure, “annacquato”.
Così ad entrare in scena sono stati gli animali: cani, gatti, conigli, criceti, canarini e chi più ne ha più ne metta… eccoli i principali interlocutori, i veri e fedeli amici dell’uomo, piccolo o grande che sia! Ma anche le bestie costituiscono un problema per le nostre vite frenetiche e vorticose: dedicare tempo ed energia ad uno o anche più animali non è cosa di facile gestione.
Il reborn in silicone da portarsi a letto incombe così drammaticamente sul futuro di noi tutti, uomini del terzo millennio, narcisi autoreferenziali, eterni adolescenti, sempre meno capaci di sostenere il rapporto con una realtà che costantemente ci sfida.
E tuttavia qualcosa pure ci insegna la scelta di queste due artiste che si concentrano su un aspetto specifico, anche se insolito, di quel tema universale chiamato “amore”!
L’iniziativa ci documenta infatti, senza ombra di dubbio, che nessun essere umano può strutturalmente prescindere da un rapporto, da un legame, da una prossimità.
Ma siamo davvero sicuri che si possa definire “ideale” un amore dove l’interlocutore sia ancora una volta ridotto alla dilagante proiezione del proprio “ego”, inabile a sostenere un dialogo autentico con un “tu” che, solo, gli consentirebbe di esistere come “io”, dal di dentro di una reciprocità finalmente umana?