La storia politica tedesca del secondo dopoguerra, che, vista dall’Italia, sembra così stabile, conosce in realtà numerose giravolte e metamorfosi.
Quella che riguarda i Grünen, i Verdi tedeschi, è già stata individuata con chiarezza da un recente intervento del filosofo Jürgen Habermas: da partito della pace a centro di sostegno alla guerra e alla consegna, pressoché illimitata, di armi pesanti all’Ucraina.
Se si va un po’ indietro nel tempo, non è la prima volta per la Germania. Allo scoppio della Prima guerra mondiale anche il Partito socialdemocratico conobbe una svolta simile, quando, contro la linea pacifista che lo aveva contrassegnato sin dal suo sorgere, votò i crediti di guerra, al punto che il Kaiser poté esclamare: “Ora non conosco più partiti, ma solo tedeschi”. Ma c’è di più.
Per comprendere le ragioni di questa volatilità interna dei Grünen può essere opportuno richiamare qualche tratto fondativo della loro storia, non sempre nota al pubblico di lingua italiana.
Il movimento ambientalista tedesco, le cui origini remote risalgono al clima romantico del XIX secolo, trovò una prima strutturazione politica a opera di Herbert Gruhl, parlamentare della Cdu, i Cristiano-democratici, che nel 1975 aveva pubblicato un volume di successo sulle tematiche ambientali (Ein Planet wird geplündert, “Un pianeta viene saccheggiato”). Nel luglio del 1978 Gruhl lasciò la Cdu è fondò la Grüne Aktion Zukunft (Azione Verde per il Futuro), primo partito europeo a chiaro orientamento ambientalista, riuscendo a inviare dei propri consiglieri nel governo del Land del Baden-Württemberg e, poi, l’anno successivo, nel Parlamento europeo.
Nel gennaio del 1980 a Karlsruhe, dalla federazione di diversi movimenti politici ecologisti, incluso quello di Gruhl, nasceva il partito dei Grünen, i Verdi. Ma già nel giugno dello stesso anno, al Congresso federale del Partito divenne evidente che l’egemonia culturale, dal conservativismo naturalista di matrice cristiana era passata nelle mani di esponenti politici provenienti dal Sessantotto tedesco. Questi erano fortemente segnati dalle idee del freudo-marxismo tipico della Scuola di Francoforte, oltre che, in alcune frange, da un ecologismo radicale ispirato – quando andava bene – ad alcuni aspetti del pensiero di Hans Jonas, in modo specifico al “principio di responsabilità”, oppure – quando andava (e va) male – a un biocentrismo radicale in cui l’ambiente naturale è percepito come un assoluto, dove sarebbe meglio che l’uomo non ci fosse perché crea solo problemi.
Sempre dal Sessantotto tedesco i Grünen derivano, nella prima fase della loro storia, un indirizzo pacifista molto forte. Del resto, quegli anni, gli ultimi della Guerra fredda, nella Germania della contestazione e della post-contestazione erano quelli del Besser rot als tot, “Meglio rossi che morti”. Scriviamo “in Germania”, intendendo, però, quasi ovviamente, la Repubblica Federale Tedesca, dove la Um-erziehung (la “ri-educazione”), perseguita dagli alleati occidentali per cancellare la pesante eredità nazionalsocialista, aveva assunto una linea superficialmente liberal, ma – se si escludono poche nicchie legate alle due chiese, quella Cattolica e quella Evangelica e comunque in esse minoritarie – mancava di un autentico spessore culturale ed esistenziale e finiva per spalancare la strada a consumismo e secolarismo, cioè al peggio dell’eredità capitalistica occidentale.
Su tutto questo, il Sessantotto, con la sua rivoluzione culturale, non è passato invano. Franz Josef Strauss aveva ragione quando, interpretando il fenomeno dei Grünen diceva che sono come le angurie: verdi di fuori, rossi di dentro. Ma aveva ragione solo in quel particolare momento storico, dato che il “rosso” di quell’anguria era l’eredità, fluida, degli anni della contestazione, ma aveva già una matrice “liberal” – non liberale, nel senso tradizionale, ma proprio “liberal”, nel senso di “radical-chic” – propria della buona borghesia occidentale, come classe del risentimento, e di un tardo capitalismo in dissoluzione.
Infatti, con la crisi dell’ideologia e dei sistemi comunisti, anche l’ideologizzazione delle tematiche ambientali, cioè la loro trasformazione in sistema astratto di idee universali, andò in crisi, prontamente sostituita da dosi massicce di politicamente corretto: prima la rivoluzione sessuale, poi, oggi, il gender mainstreaming; prima il pacifismo (che è cosa diversa dall’etica della pace), poi, almeno a partire dalle bombe della Nato sulla Serbia, a cui i Grünen, allora al governo, diedero il loro assenso, un interventismo che andava ben al di là della teoria dell’ingerenza umanitaria legittima, sostenuta, per esempio, dalla Cdu.
Già nel 1999, dunque molto prima della guerra in corso in Ucraina, un vero “rosso” (ce ne sono ancora) come il socialista Ulrich Rippert, a proposito del “sì” dei Grünen alle bombe Nato su Belgrado, osservava: “Il ripugnante teatrino che hanno mostrato i Grünen, in quanto partito di governo e favorevole alla guerra, va al di là di ogni immaginazione. È mai esistito un partito che in così poco tempo ha tradito tutti i suoi principi in maniera tanto radicale?”. E, subito dopo, Rippert individua nella Prinziplosigkeit – l’assenza di principi di riferimento – la nuova dimensione politica dei Grünen. Il riferimento è chiaramente alla gestione politica della crisi jugoslava, con il leader dei Grünen Joschka Fischer ai vertici della Repubblica Federale Tedesca, come ministro degli Esteri e vicecancelliere. Fischer, da principio sessantottino maoista, poi esponente di primo piano dei Verdi tedeschi, fu la prima consistente espressione della metamorfosi pragmatica dei Grünen al potere.
Limitarsi, però, a farne una questione di “coerenza politica” sarebbe troppo poco. La svolta, infatti, vista dall’Italia potrebbe – erroneamente – essere considerata solo una forma teutonica, e dunque più efficiente, di trasformismo e opportunismo politico. C’è di più, perché, forse, i Grünen a modo loro sono invece coerenti. Oggi è evidentissima la frattura netta tra i vertici del partito e la base, ancora illusa di aver votato un partito schierato in difesa della pace e di una cultura dell’ambiente. Ed è altrettanto evidente che quei vertici ne sono consapevoli.
(1-continua)
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