A 92 anni compiuti e con una storia di dolore come la sua, la signora Liliana Segre può permettersi il lusso di parlare con rispetto e misurando le parole, com’è nella sua educazione, ma anche dicendo esattamente ciò che pensa. Invitata pochi giorni fa al Memoriale della Shoah di Milano, ai microfoni Rai ha esposto così la sua amarezza: “Dopo che saremo morti noi ultimi testimoni, della persecuzione degli ebrei rimarrà al massimo una riga sui libri di scuola”.



Parole durissime, che al momento non ci risulta siano stati riprese da qualcuno, il segnale di una resa della memoria (personale e collettiva) nonostante l’impegno eccezionale che la superstite di Auschwitz ha messo negli ultimi decenni perché quella memoria non andasse perduta. Come a dire che il male dell’Olocausto è stato sconfitto una volta, ma non per tutte e che è pronto a risorgere dalle sue stesse ceneri.



Eppure, chi ha la fortuna di essere insegnante, chi fa ricerca, anche soltanto chi vive senza lasciarsi vivere sa che quelle parole centrano il bersaglio. Lo dimostrano – strana concomitanza offerta dalla cronaca televisiva – le tre puntate di Esterno Notte che il regista Marco Bellocchio ha dedicato ai tragici giorni del sequestro Moro. Un cast di prim’ordine (Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi nei panni dell’onorevole democristiano, della moglie, di papa Paolo VI, del ministro Francesco Cossiga) per una pagina fondamentale nella storia d’Italia.

Non è mancata qualche presa di distanza (Maria Fida, figlia dello statista, ha accusato la produzione di “fare affari” sul suo dolore, l’ex brigatista rosso Paolo Persichetti che ha parlato di “imprecisioni, disattenzione e pregiudizio” in cui sarebbe incorso il regista “dal passato dottrinario di militante maoista” tracciando un profilo addolcito del Partito comunista), ma il lavoro, incentrato in primo luogo sul lato umano della famiglia Moro, rimane di alto livello e ha il merito di mettere un “mattone di ansia” sullo stomaco dello spettatore, senza cadute di tensione (prospettiva diversa rispetto a quella del film Buongiorno, notte con cui lo stesso Bellocchio vent’anni fa aveva indagato sugli aspetti della prigionia di Moro).



Eppure, dopo il flop dei mesi scorsi di Esterno Notte, il triplo passaggio in tv ha solo in parte compensato quella delusione. I dati Auditel indicano uno share del 18,6% lunedì 14 contro il 21,9% del Grande Fratello, del 15,4% il giorno successivo contro il 19,8% di Zelig, del 15,7% giovedì 17 contro il 13,1% del film (sempre su Mediaset) Attraverso i miei occhi. In sostanza una sconfitta Rai, seppure di misura (resa ancora più amara dal fatto che la prima parte della fiction è stata battuta da una trasmissione trash) nella quale l’emittente pubblica ha due grosse responsabilità: l’inserimento di tre stacchi pubblicitari, due dei quali lunghi, nel bel mezzo del racconto (l’ultimo, come da pessima abitudine, a cinque minuti dalla fine della puntata), come se invece di assistere ad uno dei capitoli più drammatici della storia repubblicana, lo spettatore stesse vedendo un gioco a quiz; la mancata continuità fra le serate preferendo inserire fra la seconda e la terza la partita di calcio della Nazionale (per di più amichevole e contro una formazione come l’Albania).

Dire “inaudito”, anche per il mancato rispetto verso la famiglia Moro e gli uomini della scorta caduti sul campo, è dire poco e mostra una volta in più quanto la professionalità Rai (che pure c’è ed ogni tanto fa capolino) sia ormai totalmente a servizio degli sponsor e del mercato.

Cosa c’entra tutto questo con la vicenda Segre? C’entra perché avvalla la diffusa propensione dell’italiano medio a cercare nella televisione anzitutto lo svago, il divertimento, un buon motivo per “staccare la spina” dopo una giornata di lavoro. Cosa che, ben inteso, non ha in sé nulla di male, ma si aggancia drammaticamente – qui sta il motivo del riferimento iniziale alla Shoah – alla “perdita della memoria” cui allude la signora Segre. Sono trascorsi ottant’anni dalle camere a gas naziste, la metà dagli Anni di piombo, un’intera generazione nel primo caso, molto meno nel secondo. Ere glaciali per la società votata a internet e al Metaverso. “Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo” si legge a Dachau, mentre a poche migliaia di chilometri dal cuore dell’Europa si combatte un conflitto inaspettato. Non c’è altro da aggiungere, mi pare.

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