È difficile non sottolineare come l’omaggio reso a un fine analista di intelligence e ad un intellettuale di valore quale è stato Marco Giaconi – che ho avuto il piacere di conoscere a Milano grazie a Ivan Rizzi presidente dello Iassp – da parte di Andrea Bianchi e Marco Rota sia un tributo doveroso e necessario. Stiamo naturalmente alludendo all’antologia da loro curata dal titolo: Marco Giaconi e l’intelligence. Un’antologia (Giubilei Regnani, 2022) che abbraccia interviste e analisi (edite sulla rivista Affari esteri ma anche su Pangea e Alleo) la cui profondità e la cui ampiezza culturale sono indiscutibili. Non possiamo naturalmente dare conto di tutte le riflessioni specifiche formulate dall’autore e quindi ci soffermeremo su alcuni aspetti – soprattutto quelli relativi all’intelligence – che a nostro giudizio riteniamo di estremo rilievo.
Dopo un’ampia introduzione biografica di Marco Giaconi fatta dagli autori – che riteniamo indispensabile come chiave di lettura per comprendere Giaconi – vogliamo rivolgere la nostra attenzione ad alcuni aspetti. Partiamo dall’Unione Europea: questa viene definita da Giaconi come il più straordinario caso di incapacità e stupidaggine geopolitica. Inoltre Giaconi sottolinea come l’Ue nasca come progetto nordamericano di copertura-crescita economica dell’Europa occidentale verso il patto di Varsavia determinando un’espansione del benessere economico con lo scopo di sedurre l’Est e tenere dentro una parte delle popolazioni europee possibili oggetti della propaganda sovietica. Quando si è conclusa la guerra fredda, l’Unione Europea ha perso la sua finalità profonda rimanendo soltanto un’area di libero scambio.
L’altra riflessione di Giaconi, in assoluta controtendenza, è quella relativa all’immigrazione, definita come fattore di destabilizzazione alla radice degli Stati moderni, poiché fa saltare il banco del welfare, deforma il mercato del lavoro, crea immediatamente un’area sociale che costerà meno drogare che far lavorare e che espanderà l’economia criminale che già oggi occupa una vasta parte dell’economia ufficiale. Ma ad ogni modo la pedina elettorale sia a destra che a sinistra viene giocata.
Riguardo poi alle virtù taumaturgiche della democrazie, Giaconi sottolinea come la corruzione sia elevatissima soprattutto nei paesi moralisti. Negli Stati Uniti la corruzione è la norma e per quanto riguarda l’Italia il nostro Paese non è certamente l’ultimo in classifica. Passiamo adesso al ruolo dell’intelligence. Questa serve a comprendere notizie, siano esse palesi oppure riservate. Non a caso l’analisi delle fonti aperte è la maggiore area di attività di un servizio moderno che si rispetti. Il problema non è la notizia in quanto tale ma la sua analisi. L’importanza dell’intelligence è tale che per Giaconi è l’unico modo serio di semplificare razionalmente e realisticamente un sistema geopolitico. Proprio come Cossiga – che Giaconi conosceva e stimava profondamente -, la politica estera è l’anima della politica interna e l’anima della politica estera è fondamentalmente intelligence. Proprio ricordando la scomparsa di un caro amico come Francesco Gironda, Marco Giaconi sottolineava come senza un servizio segreto non possa esistere politica estera e senza politica estera ogni politica interna diventi vana. Senza il servizio di sicurezza lo Stato è quindi nudo e preda di ogni manipolazione informativa, di influenza e intossicazione. Parole queste che suonano profetiche ieri come oggi. Ricordando Cossiga le parole di Marco Giaconi si fanno commosse: Cossiga aveva compreso la debolezza strutturale dell’Italia, ciò che la rendeva debole e insicura sul piano internazionale. La stima di Marco Giaconi per lui è dimostrata anche dal fatto che il nostro attribuiva a Cossiga la capacità di sapere collegare punti apparentemente lontanissimi tra di loro e dimostrava di essere di gran lunga più bravo di molti dirigenti dei servizi di sicurezza, molti dei quali non erano in grado di comprendere la complessità della situazione internazionale perché erano soltanto degli azzeccagarbugli. Uno dei difetti del personale dei nostri servizi di sicurezza è quello di avere una formazione prettamente militare, che serve ben poco all’intelligence, la quale ha invece bisogno di meccanismi mentali più rapidi e di un pensiero laterale.
Inoltre molti analisti dei nostri servizi sono troppo proni alla classe politica, molto spesso incapace di capire la politica internazionale. Ricordando Cossiga, Giaconi formula una osservazione a nostro avviso molto importante: da un lato sottolinea come avesse perfettamente compreso i limiti dell’azione dell’autonomia italiana in politica estera, ma dall’altro sottolinea come avesse anche compreso il ruolo del deep State italiano. Infine – come tutti i grandi ammiratori dell’intelligence – Cossiga non poteva non apprezzare i grandi teorici della ragion di Stato e cioè Mazzarino, Botero e Machiavelli.
Contrariamente alla vulgata che viene dal politicamente corretto, bisogna recuperare il concetto di potenza secondo Giaconi: la chiave della potenza è infatti la forza intima di un’élite che dovrebbe essere in grado di dominare tutti i fattori della potenza. Ed è in questo senso che agisce la Cina, è in questo senso che agisce l’Iran quando sobilla gli sciiti in tutto il Medio oriente per destabilizzare tutti i Paesi sunniti. La pace eterna – dice con grande ironia – esiste solo al cimitero. La vera sapienza dell’élite deve consistere nell’avere uno sguardo freddo e impassibile di fronte alla realtà effettuale. Chi non è in grado di fare questo sarà solo un perdente.
Studiando la storia d’Italia, l’autore – alla stessa stregua di Indro Montanelli e di Paolo Savona – sottolinea come l’Italia fosse l’unico Paese europeo a differenza della Francia e della Germania per il quale parlare di interesse nazionale significava evocare il fascismo. Errore madornale. Passando poi all’analisi dei principali servizi di sicurezza, Giaconi non nasconde la sua stima nei confronti del Mossad: un servizio fortemente legittimato a livello di massa, diversamente da quanto accade in Europa dove un servizio segreto deve giustificare anche la sua stessa esistenza. Con la sua consueta ironia l’autore fa riferimento al caso italiano, alludendo alle truffe mediatiche delle deviazioni, che hanno distrutto l’intelligence italiana, così come stigmatizza la retorica diffusa di coloro che danno sempre ragione ai nostri nemici o addirittura di chi propone di eliminare tutte le armi. Ancora una volta in controtendenza, Giaconi sottolinea come ogni vero servizio di intelligence debba fare operazioni “bagnate”, cioè assassini mirati e destabilizzazione politica e sociale oltre a porre in essere anche operazioni di controinformazione.
Secondo l’autore il Mossad ha una potenza di fuoco informativa elevatissima, al punto da porlo al secondo posto dopo la Cia. Inoltre ha dimostrato sempre una grande finezza analitica e strategica oltre a possedere una rete di agenti anche in Paesi considerati amici, una rete di agenti che addirittura è ignota agli stessi dirigenti del servizio nazionale che li ospita. Per quanto riguarda la Cia, questa è fortemente politicizzata e sottoposta a pressioni fortissime anche dalla Presidenza. Quando la Cia produce i propri report spesso sono manomessi e soprattutto delega molta della sua attività a organizzazioni private. Qual è il risultato tutto questo? Se le operazioni sono troppo pericolose, le società private prenderanno comunque i soldi ma certo non si assumeranno nessuna responsabilità.
Riflettendo sul ruolo dell’intelligence le sue riflessioni sono di grandissima rilevanza e l’attualità. In primo luogo secondo l’autore l’intelligence è sempre asimmetrica e deve garantire, certo nei limiti del possibile, la prevalenza della dimensione geoeconomica di chi è in grado di utilizzarla; in secondo luogo il mondo attuale ha determinato il passaggio da una un’intelligence economica ad una vera e propria Economic Warfare di offesa. Per Giaconi insomma si è assottigliata la differenza tra infowar economica e spywar geopolitica, così come anche la differenza tra guerra economica e conflitto militare è diventata sempre più tenue. Nel mondo attuale le guerre si vincono anche creando nuovi consumi, modi di vita, paradigmi di comportamento e di comunicazione politica vicine agli interessi reali e immaginari del proprio Paese. Siamo insomma di fronte a una vera e propria guerra totale.
Non senza amarezza Marco Giaconi sottolineava come l’Italia sia uno dei Paesi occidentali nel quale si è costruita un’arte della diffamazione nei confronti della propria intelligence. Senza esagerare in alcun modo, Giaconi parla di una vera e propria strategia presente in tutto l’arco della storia repubblicana italiana soprattutto a partire dagli anni 60 fino ad oggi, strategia che ha coinvolto il rapporto tra l’intelligence, la politica e la pubblica opinione. Lucidissima e spietata quest’osservazione: “I servizi sono stati il tappeto sotto il quale le classi politiche hanno nascosto la loro polvere“ (p. 107). Proprio in merito ai nostri servizi di sicurezza e, in particolare, alla legge 124/2007 Giaconi ha idee molto chiare: sarebbe necessario avere una grande agenzia di intelligence unitaria, ma se esistesse, essa sarebbe come un vero e proprio pugno in un occhio nei confronti di una classe politica debole ricattabile. Spietata l’osservazione sulla permeabilità della classe politica italiana alle operazioni di influenza da parte di altri Paesi. Altrettanto spietato il suo giudizio sul fatto che il Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) sia una struttura ormai obsoleta nonostante il tentativo positivo fatto da Giampiero Massolo per renderlo un sistema unico di riferimento per tutta l’intelligence nazionale. E infine come si può pensare di normare l’intelligence? Pensare che l’attività di intelligence sia inquadrabile in tutte e per tutto all’interno di un quadro giuridico esatto è utopia o follia. O meglio è la follia di azzeccagarbugli che finiranno per danneggiare la sicurezza nazionale del nostro paese a vantaggio degli altri.
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