L’immagine è quella di un mondo, quello in cui viviamo, in cui non ci facciamo mancare nulla. Purtroppo nel senso negativo delle cose. Il primo quarto di secolo di questo millennio è iniziato con l’attentato alle Torri gemelle a New York e ha visto i suoi giorni segnati dalla crisi finanziaria, dall’aggressione russa all’Ucraina, dall’esplosione catastrofica di un conflitto che si era consumato lentamente, quello tra israeliani e palestinesi. Il tutto sullo sfondo di uno sfaldamento della globalizzazione che aveva segnato gli ultimi anni del secolo scorso, di un controverso protagonismo della Cina, dell’esplosione di crisi regionali che sfociano in conflitti armati con conseguenze disastrose sulle popolazioni.
Quella Terza guerra mondiale a pezzi, tante volte evocata da papa Francesco, diventa così ogni giorno sempre più drammatica e imprevedibile. Al confronto che aveva caratterizzato la Guerra fredda, quello tra Stati Uniti e Unione Sovietica (un confronto che tuttavia continua), si sono ora aggiunti numerosi punti di potenziale conflitto con un nuovo protagonismo di Paesi come l’India, gli emergenti del Sud-Est asiatico, l’Australia, per non citare un continente sempre in ebollizione come l’America latina.
Ne esce un quadro al cui confronto il Giudizio universale di Michelangelo nella Cappella Sistina appare tranquillo come Le déjeuner sur l’herbe di Édouard Manet. Giulio Sapelli, sicuramente tra i più saggi e profondi analisti della realtà politica ed economica nelle dimensioni storica e sociale, ha dipinto questo affresco nel suo ultimo libro che ha un titolo quanto mai esplicito: “Verso la fine del mondo” (Ed. Guerini e associati, pagg. 140, €18). Un libro in cui non ci si limita a descrivere i problemi come appaiono nella loro dimensione superficiale, ma ci si addentra a descrivere le cause, le contaminazioni, i corsi e ricorsi storici, la analisi e le profezie che hanno accompagnato gli eventi. In un intreccio in cui spiccano i ruoli diversamente interpretati dei nazionalismi e sullo sfondo una finanza sempre più staccata dai contesti reali grazie alla virtualità digitale.
Come giustamente e accuratamente sottolinea Lodovico Festa nella sua introduzione (che è anch’essa un sapiente saggio con una prospettiva giornalistica di stretta attualità), il testo di Sapelli è ricco di originali “pepite”, cioè di analisi con grande valore aggiunto come raramente si trovano nella saggistica contemporanea. Dove potete leggere – si chiede retoricamente Festa – “il paragone che apre il libro, centrato sull’analogia tra l’Anabasi di Senofonte e la politica del Dipartimento di Stato americano?”. E ancora: “Un’analisi impreziosita da una meravigliosa digressione sul porto di Haifa, del progetto di collegamento indiani-sauditi-israeliani ed europei (la cosiddetta via del cotone) che scatena la reazione iranian-cinese via Hamas per bloccarlo?”.
Così come tante altre scoperte in un viaggio ricco di citazioni, di riferimenti incrociati, di giudizi tutt’altro che sommari. Per descrivere la complessità di un mondo che tuttavia vede sempre protagoniste le persone, nella loro dimensione umanamente psicologica e quindi, speriamo, anche nella capacità di non lasciarsi trascinare nel pessimismo cosmico. Nella speranza di una ritrovata moralità, di una tensione all’uguaglianza, di un prevalere di quella che è riportata nella citazione finale di Benedetto Croce: “La possibilità di comportamenti realistici ed efficaci per fronteggiare il negativo e ridurlo a misura umana”. Perché la fine del mondo rimanga solo nel titolo di questo libro.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI