Ieri Franco Nembrini ha ricevuto il Premio Internazionale Cultura Cattolica a Bassano del Grappa. Nell’occasione la casa editrice Ares pubblica “Uscimmo a riveder le stelle”, primo volume del nuovo commento di Nembrini alla “Divina Commedia”, stavolta dedicato ai ragazzi di età compresa fra i 10 e i 15 anni. Presentiamo in anteprima, per gentile concessione di Ares, l’introduzione dell’autore.
Ne abbiamo vissuti di inferni, in questi anni: il Covid, la guerra, la delusione della politica… Più di tutti ne hanno sofferto i ragazzi, i giovani, che all’alba della vita si trovano di fronte un orizzonte nero – anche perché troppo spesso hanno davanti adulti che sanno solo lamentarsi e maledire, che non sanno più testimoniare una letizia, non hanno più ragioni sufficienti per sperare.
Che bisogno c’è, allora, di prendere in mano un altro inferno, quello che Dante ci racconta nella Divina commedia? C’è un bisogno grandissimo: perché Dante ci racconta che dall’inferno, da qualunque inferno, si può uscire.
Perché anche ai tempi di Dante c’era l’inferno: c’erano le epidemie, le guerre, le ingiustizie… Ma lui dall’inferno è uscito. Ha attraversato tutto il male del mondo, lo ha guardato in faccia, ne ha condiviso il dolore; ma poi ne è uscito.
Per questo vale la pena di leggere la sua opera oggi, anche e forse soprattutto per un ragazzo: perché ci dice che, per quanto buio sia l’inferno, si può uscirne; per quanto brutto sia il male che ci affligge, si può sempre uscire “a riveder le stelle”.
Il problema è che da soli non ce la si fa. Che cosa ha permesso a Dante di uscire dalla “selva oscura” in cui si era cacciato? Che cosa permette di uscire da quel buio, di non cedere alla disperazione, che oggi sembra travolgere tutto e tutti? Virgilio. Chi è Virgilio?
Virgilio è un adulto vero, un adulto certo della meta, certo della radice buona di cui tutta la realtà è fatta e del destino buono a cui tutta la realtà tende.
Provo a dirlo con un’immagine forse strana, ma che a me pare molto efficace.
Sapete che cos’è la fotosintesi clorofilliana? È quel fenomeno per cui le piante assorbono l’anidride carbonica e la trasformano in ossigeno. Alle piante non interessa chi passa nel bosco, fanno semplicemente il loro lavoro: assimilano anidride carbonica e restituiscono ossigeno. Così, chi cammina in un bosco respira a pieni polmoni. Quante volte, ahinoi, noi adulti facciamo il contrario? Quante volte riversiamo sui ragazzi l’anidride carbonica, cioè il male, i veleni del mondo? Quante volte la nostra educazione è tutta incentrata sulla paura, la paura che i nostri figli siano feriti da questo male, e per evitare questo rischio non sappiamo far altro che dipingerglielo a tinte sempre più fosche? E magari ci arrabbiamo perché i ragazzi, su cui riversiamo i nostri veleni, sono a loro volta arrabbiati con la vita e col mondo…
Invece il nostro compito è fare come le piante: prendere su di noi il male e restituire il bene, portare il peso della fatica e del dolore restituendo letizia e speranza, vivere certi che la vita è buona, così che chiunque passi dalle nostre parti possa respirare, come fa uno che cammina nel bosco.
Che cosa fa infatti Virgilio? Non tiene Dante lontano dal male, anzi, glielo fa attraversare tutto. Ma insieme gli fa compagnia. E quando Dante si attarda troppo a considerare il male, lo richiama sempre ad alzare lo sguardo. Lo vediamo specialmente nel canto XXIX, quando gli dice proprio “altro è da veder che tu non vedi” (Inf XXIX, 12). Perché non è l’insistenza sul male, sui pericoli del male, che può tenere lontani dalle sue seduzioni; è solo l’affermazione certa di un bene più grande. Come fa dire Manzoni a padre Felice, nella splendida predica al lazzaretto, quando si chiede: perché Dio ha permesso la peste, “se non per serbarsi un piccol popolo corretto dall’afflizione, e infervorato dalla gratitudine?”.
“Corretto dall’afflizione”, come noi oggi, costretti da Covid e guerra a domandarci dove poggia davvero la nostra speranza; e “infervorato dalla gratitudine”, come noi, oggi, pieni di stupore per tutto il bene che Dio suscita, comunque, a dispetto di tutte le nostre paure. E a dispetto delle lamentazioni dei profeti di sventura che dalle pagine dei giornali e dalla rete non sanno far altro che predicare che “tutto è male”.
In sintesi: perché un nuovo racconto della Divina commedia? Perché tutti, ragazzi e adulti, possano riscoprire che dall’inferno si può uscire. Che c’è una possibilità buona per tutti, ragazzi e adulti. A una condizione: che siano semplici di cuore. Cioè che prendano sul serio, a dodici anni o a sessanta, il desiderio di bene di cui il loro cuore è fatto.
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