Allestimento scarno, essenziale. Un tavolino con una sedia, una panca, sullo sfondo una tenda bianca e un’asta su cui – in base ai passaggi del racconto – vengono innalzate bandiere di vari colori. In più un pannello che mostra agli spettatori luoghi e date a cui si riferiscono i dialoghi rappresentati, una pianola per i contrappunti musicali e un sapiente gioco di luci. È il contesto minimale in cui si svolge la messa in scena di uno degli spettacoli più stimolanti della stagione, l’atto unico De Gasperi: l’Europa brucia. Il testo è di Angela Dematté (“ho una figliolanza con De Gasperi, vengo da un paesino dell’Alta Valsugana”), la regia di Carmelo Rifici (“ho puntato a mostrare l’anima, la mente dell’uomo politico”), mentre il protagonista è il bravo Paolo Pierobon (“è stata la prova attoriale più impegnativa della mia carriera”). Dopo il debutto a Trento e aver toccato varie piazze, tra cui le cinque applaudite serate al Carcano di Milano, la pièce sarà a Torino (dal 12 al 17 marzo al Teatro Gobetti), per concludere la tournée a Roma (dal 19 al 24 marzo al Teatro Vascello). Cinque gli attori in scena per impersonare, oltre a De Gasperi, la figlia Maria Romana, Palmiro Togliatti, l’ambasciatore Dunn, e Paride, un immaginario ragazzo di Matera, che esprime gioia ma anche disappunto per una ricostruzione che forse ha lasciato indietro qualcosa.
Alcide De Gasperi (1881-1954), artefice della rinascita dell’Italia nel dopoguerra, tra i fondatori del Partito Popolare (ne fu segretario dal 1923) e fiero antifascista, era definito da Mussolini con sprezzo “un clericale senza idee e senza coraggio”. Togliatti lo considerava “un illuso” che “ci tiene tanto ad essere giusto”, “un nobile feudatario di un paese di montagna che scende dall’imperatore (l’America vincitrice della guerra, nda) a mendicare aiuti”. Per il diplomatico James Clement Dunn, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma negli anni cruciali dal 1947 al 1952, De Gasperi era sì “incorruttibile”, “uomo d’onore”, e sentiva in lui “la cultura, l’anima italiana, la semplicità”, ma era soprattutto “bravo con le parole”: gli rimproverava di essere un politico “a cui fa comodo chiudersi nei piccoli ideali quotidiani”.
La prediletta figlia primogenita Maria Romana, che per qualche anno gli fece da segretaria aiutandolo a preparare i discorsi, era invece contenta che con papà Alcide a capo del governo la gente finalmente preferisse “l’umiltà alla forza” e l’acclamasse per questo. Lo statista trentino, orgoglioso delle sue solide origini montanare, con estrema modestia di sé si limitava a dire: “Mi hanno insegnato a perseguire la giustizia, la correttezza. Non ho imparato molto altro. Fatico a dimenticare l’educazione della mia terra”.
“Non è un’operazione cinematografica”, ha precisato Pierobon, cioè una descrizione puntuale, sia pure riassunta, della vita di chi dopo il disastro bellico “ha sollevato moralmente e spiritualmente” l’Italia e l’ha fatta entrare con coraggio e determinazione, tra mille difficoltà, nel nascente Patto Atlantico. Piuttosto si è voluto “restituire un pensiero”, presentando di De Gasperi la non comune statura umana e morale, la dignità, la schiettezza, la profonda spiritualità: caratteristiche che trovavano espressione in un linguaggio alto, accurato, incisivo, che doveva misurarsi con le difficoltà del momento storico, la responsabilità delle decisioni da prendere, le incomprensioni di chi gli stava attorno – amici e nemici – e il senso di inadeguatezza che a volte lo prendeva, facendolo sentire solo. Gli incontri e i dialoghi dello spettacolo sono liberamente tratti da documenti originali dell’epoca, lettere, diari. Centrali le scene in cui De Gasperi si scontra con Togliatti, segretario del Partito comunista e “gregario di Stalin”, che ha una visione diametralmente opposta alla sua, e con l’ambasciatore Dunn, che incarna gli interessi del gigante statunitense, la cui unica preoccupazione sembra essere quella di usare l’Italia come diga contro il bolscevismo.
Con entrambi gli interlocutori – il marxista duro e puro che credeva solo nella rivoluzione e l’americano pragmatico con la sindrome da padrone del mondo – De Gasperi, che aveva conosciuto la prigione e il confino, faceva fatica a far capire che lui si stava battendo per un futuro diverso per il suo Paese, lontano da utopiche ideologie e logiche imperialiste, ma semmai ancorato a una storia, a una tradizione, a radici religiose. Dopo la caduta del fascismo si erano recuperate “due parole che messe vicine erano perfette: democrazia cristiana”. Togliatti vuol far credere che cattolici e comunisti vogliano la stessa cosa: uguaglianza e fraternità. Ma De Gasperi lo frena: “Tu sei diverso da me, non ti ho fatto mai supporre che ci potessimo scambiare le dottrine. Io ho il coraggio di scrivere Gesù Cristo sulla mia fronte. E lo sai che non è una cosa molto comoda”. Per Togliatti “le vecchie classi capitaliste dovevano essere fatte fuori per entrare nel nuovo”. Ma De Gasperi sposta lo sguardo: “Gli italiani vogliono solo stare in pace, far figli, avere una casa, un lavoro! È semplice! È molto più̀ semplice!”. Palmiro replica: “Far figli, metter su famiglia… ma cosa c’entrano con la libertà?” E Alcide: “Sono le condizioni di base perché un popolo sia libero. Penso che ti faccia comodo che il popolo rimanga nel bisogno per fargli fare la rivoluzione”.
Con Dunn, con cui c’è comunque stima reciproca, il confronto è ancora più duro. Il diplomatico è totalmente immerso in logiche geopolitiche e nei meccanismi del potere. De Gasperi invece mette a fuoco il rapporto reciproco e il futuro dell’Europa e si esprime con franchezza. “L’abbiamo sudata la nostra entrata nella Nato”, esclama. “Se non fossimo entrati nel Patto Atlantico saremmo dovuti rimanere neutrali. E la neutralità armata era impossibile, perché non avevamo soldi. Ma di certo non ce li avreste dati, se avessimo rifiutato di entrare nel Patto. Non avevamo scelta”. L’ambasciatore degli Stati Uniti replica stizzito: “Cosa pretendevate? Eravate fascisti fino al momento prima”. E poi aggiunge con cinismo: “Si combatte per un ideale ma non sono gli ideali che fanno la storia. Cosa crede? Che tutti si muovano per carità cristiana? O che tutti siano dei buoni padri che pensano al bene dei figli?”. Il politico che dal 1945 al 1953 guidò ben otto governi di fila è “stanco di queste tattiche”. Ciò che conta è “la formulazione pura di un ideale”. Ingenuo? Forse. Ma “tutti questi soldati morti” nel secondo conflitto mondiale “dovrebbero far capire a noi popoli europei che il solo modo di non tradire questi ragazzi è di tenerci stretti uno con l’altro per salvare in periodo di pace i valori che essi hanno difeso in tempo di guerra”.
De Gasperi: l’Europa brucia (brucia perché le fiamme la stanno distruggendo o perché dovrebbero rigenerarla?) si conclude con la proiezione delle immagini dei solenni funerali di De Gasperi (tratte da un film di Pasolini), che videro una incredibile partecipazione popolare: le sue spoglie mortali vennero lentamente trasportate da Trento a Milano in treno e ad ogni stazione ali di folla gli resero omaggio. La figlia Maria Romana morì quasi centenaria nel 2022. Qualche anno prima, nel 2017, lei che ne aveva custodito e difeso la memoria, aveva scritto una breve, amara lettera che cominciava con le parole: “Mio caro padre, scrivo a te perché non ho più chi mi ascolta”. E si concludeva così: “Chi ci darà la forza e la volontà di vivere ancora da europei?”. Nel 1993 è stato avviato il processo di beatificazione di De Gasperi.
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