La crisi delle democrazie occidentali è ormai un dato acclarato e i dati delle percentuali dei votanti anche nel nostro Paese cominciano ad attestarsi al di sotto della soglia del 50%. La maggioranza dei potenziali elettori non si riconosce nel sistema delle rappresentanze tipiche delle democrazie occidentali. In questo mondo sempre più vasto domina un sentimento anti-sistema che in molti è consapevolmente vissuto in una sfiducia totale nelle istituzioni, in cui si non ci si riconosce e che vengono considerate come strumenti dei vari poteri del mondo, mentre in altri tale posizione prevale praticamente non teorizzandola, ma vivendola nei propri ambiti particolari.
Poi c’è il mondo, tendenzialmente minoritario, che ha un ruolo attivo nell’attuale organizzazione democratica, in cui possiamo riconoscere tre specifici sottogruppi.
Uno è quello che vive una contiguità con la politica per perseguire delle utilità personali o di gruppo che sempre generano costose posizioni di rendita, pronto a spostarsi dal cavallo politico perdente a quello vincente, che ha nel proprio Dna la sudditanza con il potere di turno, incapace pertanto di un rapporto libero con la politica che lo usa per perseguire i propri scopi. Poi c’è il segmento del mondo che esprime un’appartenenza ideologica al raggruppamento politico, alimentata da chi detiene il potere di tale raggruppamento, facilmente manovrabile per i suoi scopi facendo leva sulla reattività indotta dall’uso professionale dei vari social. A fianco di questo mondo c’è quello delle comunità responsabili in cui le persone continuano a costruire nel sociale esercitando le prerogative previste nei sistemi democratici, ed attuando un rapporto dialettico con la rappresentanza politica e gli altrui centri di potere.
In questo specifico segmento è presente in varie esperienze in atto una cultura caratterizzata da due fattori. La prima è quella dell’affermazione del valore assoluto della singola persona a prescindere dalla sua funzione sociale e quindi dal suo ruolo riconosciuto in un contesto capitalistico. In tali comunità tutti vengono riconosciuti nella loro dignità attuando una solidarietà attiva in grado di produrre soluzioni sociali ed economiche innovative, affrontando creativamente le ricorrenti trasformazioni sociali indotte dalle disruption provocate da guerre, catastrofi naturali, pandemie e dal progresso tecnologico. In queste comunità, inoltre, si afferma una nuova modalità di rapporto con il potere, dialogante ma non dipendente, propositivo ma non succube, un rapporto libero che cerca collaborazione per condividere processi in cui insieme si possa arrivare alla determinazione delle soluzioni più idonee per la crescita del bene comune, contribuendo così alla realizzazione di un potere non tirannico, ma veramente democratico.
Questo specifico mondo ha trovato espressione al recente Meeting di Rimini. Lo abbiamo visto nella esperienza degli hospice pediatrici per malati terminali in Russia, ove una tradizione che proviene da testimoni della Chiesa ortodossa ha generato una commozione per l’umano tale da generare un’opera che desta riconoscimento anche da parte del potere. Lo abbiamo visto nella mostra sulla rinascita di alcuni borghi delle aree interne italiane ove la comunità nel suo insieme ha ricreato nuovi percorsi di sviluppo. Lo abbiamo visto nella mostra di Franz e Franziska Jägerstätter ove una fede vissuta e un amore coniugale vero hanno permesso di affrontare la tirannia del potere accettando anche il martirio. Lo abbiamo visto nel racconto della esperienza dei “Combattenti per la Pace”, ove è stato avviato un percorso di riconciliazione tra ebrei e palestinesi. Lo abbiamo visto nei volti di 3mila giovani volontari che in una comunione vissuta hanno incontrato una possibilità di senso nella vita.
Questo mondo sembra irrilevante, insignificante, assente dal quotidiano di una comunicazione che martella sulla reattività di persone impaurite, ma ha una forza che affronta la storia con una positività capace di lasciare un segno indelebile, che sempre riaffiora nella sua forza dirompente. Guardare questo mondo, implicarsi con esso, sostenerlo è la cura per le nostre democrazie malate, è la strada per rigenerare responsabilità e partecipazione, per vivere un rapporto libero con il potere che può così recuperare il suo carattere di servizio per la comunità.
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