Il volume di Patrick J. Deneen, professore di scienze politiche a Notre Dame, pubblicato dalla Yale University Press, che ha avuto successo negli Stati Uniti e che sarà fra breve pubblicato anche in Italia, presenta una tesi che appare paradossale già dal titolo: Perché il liberalismo ha fallito? Il liberalismo rappresenta l’ultima ideologia politica moderna ancora in vita. Francis Fukuyama aveva scritto nel 1992, in un momento storico in cui il capitalismo appariva trionfante e capace di moltiplicare e distribuire la ricchezza in tutto il pianeta, della “fine della storia”, perché il liberalismo avrebbe vinto in modo definitivo e non era pensabile un “oltre” il liberalismo. Secondo Deneen esso, invece, non gode ormai di buona salute. Il liberalismo è fallito proprio perché ha avuto successo.
Per comprendere la tesi centrale del volume occorre chiarire che cosa intenda Deneen per liberalismo. Con questo termine egli si riferisce sia al liberismo economico di destra favorevole alle privatizzazioni e a uno Stato leggero, sia al liberalismo di sinistra dei cosiddetti “liberal” che propugnano lo Stato sociale. Negli Stati Uniti si tratta della contrapposizione fra repubblicani e democratici. Secondo Deneen le due facce del liberalismo, anziché opporsi, in profondità si alimentano a vicenda: più cresce con l’individualismo il primo – ma questa crescita ha i giorni contati a motivo della crisi ecologica – più si ha bisogno del secondo per cercare di sopperire ai gravi problemi sociali sollevati dal liberismo.
Il fatto è che il liberalismo “di sinistra” non risponde veramente ai problemi reali causati da uno sviluppo economico incontrollato. E questo perché, nonostante i suoi proclami, esso non incide in profondità sullo sviluppo economico, sui problemi posti dall’inquinamento globale, dalla disoccupazione nei settori continuamente abbandonati delle vecchie produzioni, sull’estrema mobilità del lavoro che condiziona gravemente la vita delle famiglie soprattutto non abbienti. Invece i liberal incidono più facilmente sulla liberalizzazione dei costumi sessuali, che permette un adattamento al sistema capitalistico, favorendo ancor di più l’individualismo e offrendo al popolo qualcosa come “panem et circenses” anche attraverso l’uso di internet che raggiunge ormai le lontane favelas.
Nel frattempo cresce una nuova e più potente aristocrazia. Vantaggi come la stabilità famigliare, favorita dalla stabilità del posto di lavoro, sono sempre più privilegio di una nuova classe di ricchi. In questo contesto è significativo il fatto che spesso le persone, nonostante soffrano maggiormente di solitudine rispetto a una volta, preferiscano restare isolate nelle loro case, vivendo in quartieri lontani dal centro, e usufruendo dei nuovi mezzi di comunicazione, tanto l’individualismo ha inciso profondamente sulla mentalità comune.
Deenen si rifà alla storia del liberalismo per comprenderne la natura. Non è facile definire il liberalismo perché ha una concezione precisa e atomistica dell’uomo, ma mascherata di neutralità “scientifica”. Egli distingue due ondate del liberalismo: il primo si presenta come tendenza al dominio della natura da parte di un uomo dalla natura immutabile, il secondo, più recente, come tendenza alla trasformazione dell’uomo stesso. Soprattutto alla base del liberalismo v’è una concezione della libertà radicalmente diversa da quella propria delle epoche precedenti: posso fare ciò che voglio pur di non danneggiare gli altri. Al primato tradizionale dell’educazione di sé stessi, dell’autolimitazione, di virtù come la temperanza al fine di essere veramente liberi, concezione bollata di paternalismo, si sostituisce la libertà come liberazione dell’individuo dai legami comunitari. Ma l’individualismo finisce per rendere necessario lo statalismo che assume anche forme totalitarie. Diventiamo gradualmente più individualisti e, insieme, più statalisti, trascurando quei legami che erano tipici della società tradizionali. Ma, paradossalmente, per una sorta di eterogenesi dei fini, l’uomo si sente meno libero. E lo statalismo a sua volta favorisce l’individualismo. Si tratta di un individualismo in senso sincronico e diacronico: ogni generazione deve vivere per sé stessa. Il presente è vissuto senza legami con il passato e prospettive per il futuro.
Il fatto che il liberalismo di destra porti all’esaurimento delle risorse naturali e umane che gli hanno permesso di prosperare e che il liberalismo di sinistra non costituisca una risposta adeguata, ma un fattore che lo asseconda, si vede, oltre che dal maggiore individualismo che corrode i rapporti umani, dalla crisi della cultura umanistica. Allo sviluppo economico della società non servirebbe più a rigore una cultura attenta all’esperienza accumulata nel passato e impartita tradizionalmente nei college, ma solo le discipline scientifiche e tecniche. Di qui il crescente depapeurarsi secondo Deneen della cultura umanistica degli Stati Uniti.
Se questa è in sintesi la situazione di crisi del liberalismo, che cosa propone Deneen? Egli esclude che si debba e si possa tornare alla società preliberale. Occorre costruire la libertà dopo il liberalismo. Si esclude pure che siano possibili soluzioni ideologiche “perfettistiche”. Se il problema più sentito è la crisi delle relazioni sociali determinata dal crescente individualismo, s’impone il potenziamento della dimensione comunitaria ed educativa. Egli riprende l’espressione di Papa Francesco: costruire comunità come “ospedali da campo”. Un punto debole della proposta di Deneen, tuttavia, sembrerebbe dato dal fatto che la dimensione comunitaria non incide radicalmente sul piano fondamentale del lavoro e della creazione della ricchezza.
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