“Follow the money”, recita il detto. “Cherchez la femme”, afferma un altro motto, di pari se non superiore saggezza. E in Un animale selvaggio, l’ultimo romanzo di Joël Dicker (La Nave di Teseo, 2024) i due detti si rivelano per veri, verissimi, e si compenetrano l’uno con l’altro.

Come nei suoi precedenti romanzi, Dicker scompone e ricompone i piani temporali, presentando la vita di due coppie ginevrine in rotta di collisione fra loro, in una manciata di giorni, dal 12 giugno al 2 luglio 2022: in quest’ultima data, a Ginevra viene compiuta una clamorosa rapina a una gioielleria; e l’autore, costruendo il romanzo come una complicata, ma perfetta, coreografia, ci porta ora avanti, millimetricamente, nella giornata del 2 luglio, ora indietro, facendo scorrere quei venti giorni che separano la metà di giugno dalla mattinata della rapina, inframmezzando gli avvenimenti con il racconto delle avventure del giovane Arpad Braun, neolaureato alla prestigiosa London School of Economics, nella torrida estate del 2007: un’estate memorabile perché, a Saint-Tropez, dove ha trovato un lavoro estivo come barman in un club di lusso, conoscerà Sophie, la sua futura moglie, bella e brillante studentessa di giurisprudenza, nonché figlia del suo datore di lavoro; ma trascorrerà anche, a causa della sua leggerezza, una manciata di settimane al fresco, in carcere. E lì conoscerà Philippe, detto Fauve, un rapinatore che prenderà sotto la sua ala protettiva il giovane di buona famiglia, così ingenuo, in fondo, e dalla faccia pulita.



Quindici anni dopo, Sophie e Arpad sono sposati, hanno due bambini, svolgono lavori prestigiosi (lei avvocato di successo, lui alto funzionario in una banca d’affari), e da poco hanno lasciato il loro appartamento in città per trasferirsi in un sobborgo verde e tranquillo, a pochi minuti dal centro di Ginevra, dove hanno acquistato, ai margini del bosco, una fantastica villa con piscina, detta “la casa di vetro” per il modernissimo design.



Sono belli, felici, ricchi, di successo, senza un problema al mondo: l’immagine stessa della perfezione, insomma, quasi stucchevole nella sua superficie laccata, senza un’ombra né un’incrinatura.

Poco lontano dalla “casa di vetro”, in un sobborgo, sorge invece “l’Obbrobrio”: così i residenti storici della zona, con un po’ di spocchia – anzi, con un bel po’ di spocchia –, hanno ribattezzato un complesso di villette a schiera a costo calmierato, che hanno consentito a un gruppo di famiglie del ceto medio, che altrimenti mai si sarebbero potute permettere quella zona residenziale prestigiosa, di abitare immersi nel verde e nella pace. Fra queste famiglie c’è quella di Greg e Karine: commessa in una boutique di lusso in centro lei, dipendente pubblico lui. La definizione è un po’ vaga, ne conveniamo, ma Greg non può certo rivelare a tutti di essere un membro della polizia, anzi, un membro delle forze speciali e in predicato di succedere al suo capo, prossimo alla pensione, al comando dell’unità operativa.



Complice il fatto che il figlio di Greg e Karine e quello di Arpad e Sophie giocano a calcio nella stessa squadra, le due coppie fanno amicizia: e se Karine viene conquistata dall’atmosfera di fastosa e insieme tranquilla ricchezza della casa dei Braun, e vorrebbe tanto conquistare l’amicizia e la confidenza della vicina, Greg prende una vera e propria sbandata per la bella avvocatessa; la quale, come scopre Greg durante una festa in piscina, ha un’insolita ed esotica pantera tatuata su una coscia, dettaglio che stride un po’ con l’immagine della sobria professionista abituata ad assistere magnati e mercanti d’arte nelle loro transazioni commerciali. E così Greg inizia a spiare Sophie, prima appostandosi nel bosco, proprio davanti alla casa di vetro, che non ha tende, e poi arrivando a rubare una microtelecamera dalla dotazione di servizio della sua unità per piazzarla sopra l’armadio, nella camera da letto della donna e di Arpad.

Ma Greg non è il solo interessato alla vita dei membri della famiglia nella “casa di vetro”: una vecchia Peugeot grigia, infatti, veicolo insolito in quel sobborgo dove sembrano circolare solo berline e auto sportive di lusso, sembra seguire pedissequamente tutti gli spostamenti dei Braun, in special modo quelli di Sophie. E se Nathalie, per farsi bella agli occhi di quella che vorrebbe che diventasse la sua migliore amica, si inventa, per darsi un poco di importanza, di essere la responsabile della boutique dove lavora, be’, questa non è che la minore e la più innocua delle bugie di cui è intessuto il romanzo, e che tutti i personaggi accumulano, e anzi, affastellano le une sulle altre sino alla deflagrazione.

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