Quello di papa Francesco sarà il pontificato dei giovani, con ben 150 casi aperti presso la Congregazione delle Cause dei Santi? La decisione di elevare agli onori degli altari durante l’anno venturo il ventiquattrenne torinese Piergiorgio Frassati e il quindicenne milanese Carlo Acutis può fare da viatico ad altri percorsi di uguale natura che sembrano impantanati nei meandri delle diocesi e del Vaticano, ma di cui la Chiesa ha assoluta necessità davanti ad una fede sempre meno di popolo e sempre meno capace di interessare i giovani. È sufficiente osservare l’età media di chi frequenta la messa festiva per toccarlo con mano: secondo i dati Istat 2023, fra 14 e 17 anni assolve il precetto il 13% dei ragazzi e basta raggiungere la maggiore età perché il dato crolli al 7%. Eppure, sia Frassati sia e ancor più Acutis non sono vissuti in epoche lontane e fra loro si colloca una terza figura che negli ultimi tempi sta conoscendo un ritorno di interesse anche da parte delle istituzioni ecclesiastiche.
Si tratta di Domenico Zamberletti, per tutti Domenichino in quanto morto a soli 14 anni nel 1950. Un alito di tempo appena vissuto a Santa Maria del Monte, dove i genitori conducevano un piccolo albergo, un pugno di case sorto a partire dal Medioevo intorno al santuario mariano che ingloba le spoglie delle beate Caterina da Pallanza e Giuliana da Busto Arsizio e che fa parte del convento delle Romite Ambrosiane visitato da papa Giovanni Paolo II nel 1984. A lui Carla Tocchetti ha dedicato, fresco di stampa, il volume Domenichino del Sacro Monte di Varese (Macchione Editore) che, mantenendosi lontano da intenti puramente agiografici, ne ricostruisce anche attraverso una documentazione inedita le vicende, inglobandole nel contesto storico segnato dalla seconda guerra mondiale, ma puntando, come scrive l’autrice, esperta di comunicazione e di storia dell’arte, su “una storia straordinaria che ha ancora molto da dirci perché a quasi settantacinque anni dalla scomparsa per un male incurabile sopportato con fede straordinaria, Domenichino è una figura moderna, ricca di sfaccettature che va oltre l’immagine semplificata del chierichetto”.
Del resto, nonostante un inspiegabile “alti e bassi” nel comportamento delle autorità ecclesiastiche milanesi (Varese fa parte della diocesi ambrosiana), l’interesse popolare verso questo ragazzino dall’intelligenza eccezionale, particolarmente versato alla musica, non è mai venuto meno e ancor oggi la sua tomba, nel piccolo cimitero del borgo natìo, è meta di visite discrete di mamme e bambini che vi lasciano le loro richieste di aiuto e i loro giocattoli. Una devozione difficile da spiegare se si pensa che, passato più o meno il primo decennio dalla morte caratterizzato anche da pellegrinaggi ad hoc, allo stop imposto dalla Chiesa ad atti di venerazione (interpretato alla lettera dall’onorevole Giuseppe Zamberletti, fratello di Domenico, che mai volle parlarne in pubblico) ha corrisposto una memoria affidata soltanto al passaparola.
Una vita breve e senza miracoli, segnata “solo” dallo svolgimento attento dei propri doveri familiari e scolastici, dalla partecipazione quotidiana alla messa, da una fede semplice e forte, chiusa in concetto di santità dopo mesi di terribili sofferenze: “Mamma, mi viene incontro la Madonna!” furono le sue ultime parole.
Certo spetta solo alla Chiesa riprendere in mano la questione, ma intanto il nuovo arciprete del Sacro Monte, monsignor Eros Monti, ammette appena arrivato di aver ricevuto “telefonate, messaggi, incontri dal vivo, testimonianze su di lui” tanto da essersi sentito in dovere di interpellare monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio diocesano per le Cause dei santi. A questo punto, se son rose fioriranno: “La storia di Domenichino – conclude convinta l’autrice – non è destinata a terminare qui”.
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