“Anche questa è un’altra delle storie incredibili ma vere che racconta il grande fiume. E, come sempre è la penultima storia perché il grande fiume è eterno come la speranza…”. Questo scriveva Giovannino Guareschi nei “dialoghi per lo speaker” del film Il compagno don Camillo. Giovannino non sapeva che, da lì a meno di tre anni, il suo cuore avrebbe cessato di battere ma, in realtà, ancora una volta ebbe ragione, perché quella del Compagno don Camillo non fu davvero l’ultima storia raccontata dal grande fiume. Il “Mondo piccolo” ne avrebbe raccontata un’altra, che Guareschi aveva solo scritto e immaginato. Una storia che avrebbe segnato il ritorno dei personaggi guareschiani nella terra che li aveva creati.
Infatti, la “nemesi geografica”, come l’avrebbe chiamata Peppone, ebbe luogo esattamente 50 anni or sono quando, causa la scarsezza di risorse economiche, venne deciso di girare di nuovo, ma in economia, il film Don Camillo, Peppone e i giovani d’oggi (la cui lavorazione era stata interrotta a Brescello nel 1971, causa la malattia di Fernandel). La “location” che la produzione scelse fu San Secondo Parmense e così il “Mondo piccolo” cinematografico, dopo la lunga parentesi reggiana, tornò ad affiancare quello letterario nella Bassa parmense, dove Giovannino Guareschi aveva ambientato le avventure di Peppone e don Camillo.
Fin qui la “nemesi” pepponiana ma, come per ognuno dei film della serie ispirata ai racconti di Mondo piccolo, anche quest’ultimo lungometraggio ha una sua storia. La scelta di girare un sesto film, dopo il successo nel 1965 di Il compagno don Camillo, data al 1969, quando la Cineriz, un anno dopo la scomparsa di Giovannino Guareschi, acquista dagli eredi i diritti per la trasposizione cinematografica della serie di racconti comparsi su Oggi nel 1966. Per una strana congerie di situazioni, anche questo sesto film, la cui sceneggiatura è scritta da professionisti di Roma, muove i primi passi con evidentissime difficoltà. La prima stesura della trama, infatti, viene rifiutata tout-court da Alberto e Carlotta Guareschi, confortati anche dal parere di don Adolfo Rossi, il “don Camillo” delle Roncole, affezionatissimo consigliere spirituale di Giovannino.
Scrive don Rossi in una nota: “È falsato il pensiero di Giovannino Guareschi. Lui voleva educare!!! Qui c’è solo meschinità, in chiave forzata di umorismo, quindi è un tradimento di Giovannino Guareschi. Il finale è semplicemente disgustoso e non vero!”. La nota risale al luglio del 1970, quando si iniziò a girare il film a Brescello, con Fernandel e Cervi; ma cosa c’era di così assurdo in quella sceneggiatura? Basta scorrere qualche riga del dattiloscritto conservato nell’archivio Guareschi alle Roncole, per capire che don Rossi aveva perfettamente ragione: la sceneggiatura iniziale (di Bernard Revon, Leo Benvenuti e Piero De Bernardi) collocava Cat a Roma, nel bel mezzo di una manifestazione hippy, dove interviene pesantemente la polizia. Questa doveva essere la scusa per inviare la ragazza ribelle dallo zio don Camillo. Il figlio di Peppone, Michele (detto Veleno) tornava in paese coi capelli lunghi e la giacca “alla Mao” e con la volontà di contestare il padre imborghesito e proprietario di un negozio. Cat arrivava addirittura scortata dalla Polizia e con un foglio di via sorvegliato, insomma, affidata allo zio prete. Il rivoluzionario, dunque è Michele che coinvolge nelle proprie azioni il figlio dell’industriale Piletti, proprietario di un allevamento di polli. Michele e gli altri invadono l’aula del consiglio comunale, lasciando tutti in mutande, compresi Peppone e Piletti. La consigliera-farmacista Bognoni (della sezione “cinese” del partito), invece, si dice felice di aver ricevuto la lezione. Michele, preoccupato delle possibili reazioni di Peppone, si rifugia in chiesa e chiede asilo e don Camillo che, in cambio della protezione, lo tosa a zero. Cat si asserraglia sul campanile e attacca a suonare le campane in piena notte. Solo Michele riesce a recuperare la ribelle che, per vendicarsi dell’intransigenza dello zio prete, invita un numeroso gruppo di hippies, compresi Veleno e Giorgio Piletti, che ballano finché vengono cacciati da don Camillo armato di un potente getto d’acqua. Appare anche il personaggio di un bambino (Marcellino) creato di sana pianta dagli sceneggiatori di Cinecittà, che va parecchio d’accordo con don Camillo e viaggia con lui in Vespa. A questo punto arriva don Francesco Biavati, coadiutore mandato a don Camillo dalla Curia. Il giovane, presto battezzato “don Chichì” stravolge, secondo i “nuovi principi conciliari”, la chiesa e, soprattutto, i fedeli di don Camillo. Ma un mattino don Francesco, entrato in camera di Cat, la vede mentre dorme nuda e, da qui, si sviluppa la vicenda che porterà alla crisi spirituale del pretino.
Pienamente giustificato, quindi, il rifiuto da parte di Alberto e Carlotta di questa sceneggiatura che nulla aveva a che vedere, salvo per dettagli di scarsissima importanza, coi racconti guareschiani. La seconda sceneggiatura, ad opera di Adriano Baracco, Mario Camerini (regista) e Lucio de Caro sarà quella (debitamente ripulita dalle tante parolacce che mai Guareschi avrebbe fatto pronunciare ai suoi personaggi) utilizzata per il film ambientato a San Secondo, con Gastone Moschin nei panni di don Camillo e Lionel Stander in quelli di Peppone. Un film che, sino a pochi anni or sono, era considerato di “serie B” e restava escluso dalle tante repliche televisive ma che, da qualche tempo, è stato “sdoganato” e fa parte, a pieno titolo, della saga di Mondo piccolo.
Così, dal momento che l’intero film venne girato nel paese, senza ricorrere agli studi di Cinecittà, basta andare per le strade di San Secondo e si ritrovano, ancora oggi: la canonica di don Camillo, il negozio di Peppone, la farmacia del dottor Bognoni e, a pochi chilometri dal borgo, la chiesetta dove Cat e Veleno si sono sposati. Insomma, c’è altrettanto Mondo piccolo a San Secondo che a Brescello e così anche qui, davvero, può capitare di incrociare sotto i portici Lo Smilzo che va all’osteria, o don Camillo che esce dalla chiesa e fischietta il motivetto che anche Gesù aveva imparato alla “Messa beat”.
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