“Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, la nota battuta con la quale Cremete risponde a Menedemo agli inizi del I atto della commedia di Terenzio, Heautontimorumenos, precisa che l’umanità nasce dal confronto con l’altro, non ha paura del dialogo, è inclusiva ed è aperta alla totalità del reale. Questo tipo di genialità umana ha sempre caratterizzato don Giussani: un uomo che non temeva il paragone con tutto ciò che lo circondava e anche con tutti gli scrittori della letteratura, un maestro che ha vissuto un’intensa attrattiva per tutto ciò che è umano e per l’arte che è il suo riverbero più prossimo.



Proprio di questo rapporto si è parlato nel pomeriggio di ieri, 22 agosto, al Meeting di Rimini. Francesco Ferrari ha dialogato su questo argomento con due ospiti d’eccezione: mons. Massimo Camisasca, fondatore della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo e vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, e Giancarlo Cesana, professore onorario di igiene generale e applicata nell’Università di Milano Bicocca.



Negli interventi dei relatori più volte è emerso che don Giussani non ha mai considerato la letteratura come una forma di intrattenimento, riservata a pochi uomini colti. Negli anni di seminario e di sacerdozio non ha mai pensato alla letteratura come “un’espressione minore della cultura che non appartiene al cammino di preparazione” (cfr. la Lettera del Santo Padre Francesco sul ruolo della letteratura nella formazione), perché per il fondatore di Comunione e Liberazione l’arte non è diversa dalla bellezza delle montagne, dei fiori e del mare; anch’essa rallegra e rimanda all’infinito, è segno di quella bellezza in cui è riposta la verità di tutti gli uomini.



Per questo motivo, come ha precisato Camisasca nel suo interessante intervento, il “fatto artistico è diventato il cuore della sua pedagogia”. La lettura dei grandi scrittori è diventata per Giussani un “accesso privilegiato […] al cuore della cultura umana e più nello specifico al cuore dell’essere umano”, come precisa anche il Pontefice nella lettera del 17 luglio 2024, più volte richiamata. I testi poetici e narrativi, le opere pittoriche e musicali rivelano “stralci di umanità”, costituiscono il “riverbero dell’umano”, sono chiavi d’accesso alla profondità delle cose, educano, quindi, a riconoscere l’essenza della realtà.

“È possibile riconoscere la presenza dello Spirito nella variegata realtà umana, è possibile, cioè, cogliere il seme già piantato della presenza dello Spirito negli avvenimenti, nelle sensibilità, nei desideri, nelle tensioni profonde dei cuori e dei contesti sociali, culturali e spirituali” scrive papa Francesco. Giussani ha operato in modo analogo a quanto afferma il Papa nella sua recente lettera: ha cercato la bellezza drammatica della vita per scoprirne il suo peso, la sua valenza e la sua rilevanza per l’uomo di tutti i tempi.

Don Giussani – ha continuato Camisasca – ha insegnato a considerare la grande letteratura come una sorta di “incontro”, non un insieme di nozioni da apprendere, come purtroppo avviene ancora oggi a scuola. Del resto, “Le cose importanti della vita non si apprendono, si incontrano”, amava affermare Oscar Wilde. Infatti, leggere i testi, per il sacerdote di Desio, è incontrare la genialità di un uomo che, attraverso il proprio codice espressivo, indica una via d’accesso, permette di accorgersi degli abissi che abitano il mondo e l’uomo e di riconoscere l’“eccedenza infinita dell’essere”; leggere è, quindi, “ascoltare la voce di qualcuno” che ci rappresenta, come sostiene ancora papa Francesco nella sua lettera e come amava ripetere anche don Giussani stesso: “Così, noi sentiamo le nostre malinconie meglio espresse dai ritmi di Chopin o dai versi di Leopardi che neanche se noi stessi ci mettessimo ad articolare note o parole sull’argomento”.

Leggere i testi di grandi scrittori, come Leopardi, Pascoli, Rebora, Montale, Eliot, Mounier, Claudel, Milosz (tra i preferiti di don Giussani) è entrare in rapporto con l’infinito. Avere a che fare con un testo è entrare in un dialogo infinito che non si comprende definitivamente. Significa non aver paura dell’infinito e della vita. È un rapporto di comprensione e non di definizione a cui è inevitabile dare credito. D’altra parte anche George Steiner, in Vere presenze, sosteneva che “esiste la lingua, esiste l’arte, perché esiste l’altro”.

Don Giussani ha insegnato questo a Cesana e a Camisasca, e a tanti altri che lo hanno seguito e continuano a farlo, aprendo “la vita alla finestra della vita”. Io stesso sono diventato docente di lingua e letteratura italiana grazie a lui, e in classe leggo i testi dei grandi poeti e scrittori perché io e i miei allievi possiamo scoprire sempre di più la nostra umanità.

Il confronto con le parole piene di arte e di genio della migliore letteratura e, attraverso di essa, con le questioni più acute della coscienza umana, nasceva in don Giussani da un particolare entusiasmo e da un’intelligenza della fede – come ha sostenuto Cesana alla fine dell’incontro – che hanno permesso a tanti di incontrare e riconoscere la bellezza.

Don Giussani ha lasciato a noi una grande eredità: la convenienza di una fede che nasce dall’affezione all’uomo e alla realtà, che non è opportuno perdere, come ancora ci ricorda il Papa: “dobbiamo stare tutti attenti e non perdere mai di vista la ‘carne’ di Gesù Cristo: quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti”. È in ballo la nascita di una nuova umanità!

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