Una frase che rimane scolpita per sempre nella mente, uno sguardo, l’invito di un compagno, un canto, l’improvvisa scoperta di quel che esiste e che prima pareva avvolto in una nebbia… fino al rivelarsi del senso di ogni cosa, del senso di sé stessi alle prese con la vita. È questa la traiettoria descritta nelle vicende raccontate nel libro Don Gius: storie di un incontro e di vite cambiate curato da Micol Mulè (Lindau). Ed è la traiettoria che collega contingenze apparentemente casuali con lo schiudersi di un cammino umano che diventa interessante non soltanto per chi lo vive, ma anche per quanti ne accostano l’attrattiva, si lasciano scalfire dalla bellezza che ne deriva, da un’immedesimazione con quei vissuti che rivelano sempre e sistematicamente anche la radice, la vera origine di quella straordinaria pienezza esistenziale.



Il libro, in effetti già pubblicato lo scorso anno in formato ridotto, ora riproposto nella recente versione con l’inserimento di una decina di altre storie e arricchito dalla prefazione di mons. Massimo Camisasca, pur proponendo vicende del passato a partire dal tempo relativo agli albori del movimento ecclesiale suscitato da don Giussani negli anni Cinquanta (inizialmente Gioventù Studentesca e successivamente Comunione e Liberazione), di fatto attira l’attenzione sugli aneliti del cuore umano, sulle domande esistenziali, sulle promesse di verità e di bene che nella fede in Cristo vissuta nell’appartenenza alla Chiesa, trovano risposta e compimento, un di più, un potenziamento di creatività e fecondità di esiti, “il centuplo” promesso anche nel vangelo.



Un senso di stupore, a volte di profonda commozione, si avverte di fronte al dipanarsi di vissuti rivoluzionati nell’impatto con una novità inattesa, orientati verso impensabili e feconde realizzazioni proprio grazie all’incontro con il prete che ovunque sprigionava la certezza di Cristo presente e operante in ogni brano del reale, in ogni palpito di desiderio umano.

“Non si può comprendere don Giussani se non si entra nel mistero delle vite cambiate da Dio attraverso il fascino della sua fede, della sua umanità – nota Camisasca nella prefazione –. Possiamo dire che il don Gius (come lo chiamavamo) è una persona popolata di nomi. È giusto perciò che in questo anno del centenario, in cui si stanno moltiplicando le iniziative per far conoscere don Giussani e il suo pensiero, ci sia l’occasione di raccontare le storie dei suoi figli, discepoli liberi e creativi”.



Le “vite cambiate” documentano tutte, pur nella loro evidentissima diversità, una intensità di esperienza, un’esuberanza di doti, veri talenti che si rivelano spesso in occasioni inaspettate che rendono costruttivo e percorribile ogni tratto del vissuto, compresi i limiti, compreso il dolore, compresi i tradimenti e le sconfitte.

Sembra di provarlo anche oggi, in alcuni momenti, lo smarrimento struggente raccontato da Pier Paolo Bellini detto Widmer (Compositore e general editor della collana di musica classica Spirto Gentil) che dopo la morte prematura e improvvisa di Enzo Piccinini, durante un colloquio con il cardinale di Bologna Giacomo Biffi, aveva avuto la triste sensazione di trovarsi di fronte a un enorme e irrecuperabile vuoto anche nella conduzione della comunità che – come scrisse a don Giussani – percepiva come “una grande fabbrica dismessa”. La risposta del Gius non tardò e fu come un’iniezione di adrenalina: “Carissimo Widmer…la ‘fabbrica dismessa’ ha dentro il suo seno un numero infinito di cave di pietra cui Enzo con la forza dello Spirito strapperà i pezzi di roccia necessari per edificare di nuovo la Chiesa che la passività o l’inintelligenza, il piccolo cuore di tanti cristiani, non ha saputo utilizzare. E voi Enzo renderà capaci di render nuova la forza che Dio vi ha dato per ricreare nel mondo la continua gloria di Gesù”. Questo richiamo a rilanciare il cuore nella direzione giusta, a volgere la propria passione e la vera fiducia ben oltre tutti i limiti propri e altrui, avrebbe illuminato il suo cammino anche in seguito: “In questi vent’anni ho visto moltiplicarsi gli episodi di passività, inintelligenza, piccolo cuore di tanti cristiani intorno a me. Come ho visto moltiplicarsi gli episodi di debolezza dentro di me. E tutta questa vergogna (evento singolare) non è stata capace di allontanare dal mio orizzonte quotidiano l’urgenza insieme drammatica e generativa del servizio a Dio e, quindi, al mondo, secondo un disegno a volte imperscrutabile, a volte addirittura umiliante. In tutto ciò, mi stupisco di avere come compagna di viaggio la baldanza ingenua descritta tanti anni fa da Giussani, una baldanza ingiustificabile, irragionevole finché non ci si accorge che è figlia della fedeltà di Dio che incontra una disponibilità dell’uomo: è una fedeltà che si esprime immancabilmente nel disporre per ciascuno di noi una compagnia, cioè un’amicizia, che, per quanto possa traballare, ci sostiene e ci conferma in questa avventura unica che si chiama vocazione”. E la “vocazione”, come una chiamata decisiva e sempre rilanciata, è filo conduttore che attraversa ogni singola vicenda, dispiegando una varietà impressionante di circostanze e percorsi che si intrecciano nell’evidenza che “la gloria di Dio è l’uomo vivente”.

Andrea Aziani (per il quale è in corso il processo di beatificazione come per Enzo Piccinini), definisce la vocazione “l’unico lavoro che si può fare sempre e per il quale non sono necessarie ‘condizioni speciali’, ossia, vivere la vocazione, vivere come Memor Domini, chiedere, sperare, ringraziare”. E l’esito di questa dipendenza totale da un Altro pare moltiplicare l’intraprendenza e la possibilità di aprire nuove piste per rispondere ai problemi. Plinio Agostoni, per esempio, solo dopo aver lavorato per anni in un altro ambito, è approdato alla fabbrica del cioccolato Icam fondata da suo padre, dove ha affrontato la nuova avventura professionale con la consapevolezza che “una gestione responsabile dell’azienda deve portare un vantaggio a tutti”. E nel suo caso, questa logica ha fatto sì che anche il problema dei coltivatori della Repubblica Dominicana dove venivano prodotte fave di cacao di bassissima qualità e vendute, per la quasi totalità, al mercato statunitense a un prezzo irrisorio, doveva essere preso in seria considerazione. Così avvenne, e la storia, tralasciando i dettagli, si concluse con l’invito a una festa in loco da parte dei produttori della cooperativa dominicana e la consegna di una targa con la scritta: “In segno della nostra eterna gratitudine per essere stati il primo supporto commerciale di Conacado e un appoggio determinante nel posizionamento del cacao dominicano all’interno del mercato mondiale”.

La radice di uno sguardo così ampio e così esigente di vantaggi per tutti, è lampante e ha a che fare con il valore della gratuità e della carità indicata da don Giussani come uno dei fari di una vita davvero “produttiva”, ricca cioè di senso e di bene, di coinvolgimento con tutti nella condivisione dei bisogni emergenti. La vicenda del cacao sudamericano è solo una scheggia fra le innumerevoli vicende che documentano una passione profonda per la conoscenza del reale, le sue dinamiche da approcciare con il desiderio di riconoscerne il bandolo che conduce al Tutto, all’Assoluto che si fa presente, che ha a che fare con i fatti sollecitando una responsabilità avvincente. Solo così si spiegano i racconti narrati, costellati di realizzazioni straordinarie come il Banco alimentare che iniziò con Marco Lucchini, l’Associazione volontari per il servizio internazionale (Avsi) avviata dal medico Arturo Alberti, l’associazione Famiglie per l’accoglienza fondata da Alda Vanoni, Ca’ Edimar, opera sociale per giovani in difficoltà nata a Padova dall’esperienza di Mario Dupuis, la Fundación San Rafael creata in Paraguay da don Aldo Trento, una serie di opere educative come il centro di formazione professionale In-presa di Carate Brianza realizzata da Emilia Vergani, la scuola di don Villa a Tarcento sorta in Friuli dopo il terremoto del ’76, la scuola cooperativa La Zolla a Milano fondata con altre famiglie da Peppino Zola.
In ogni tentativo e intrapresa affiora la dimensione culturale in quanto – per dirla con don Giussani – “coscienza critica e sistematica dell’esperienza” che, per alcuni protagonisti del libro, diventa impegno privilegiato: fra questi l’arcivescovo emerito di Ferrara Luigi Negri, José Miguel Oriol fondatore della Casa editrice Encuentro e iniziatore del Movimento di Comunione e liberazione in Spagna, Eugenia Scabini che ha creato il Centro studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano con la collaborazione di Giovanna Rossi.

E sono solo alcune delle numerose avventure che, pur nella radicale diversità, portano tutte il timbro di una esuberante passione per la vita. Una vita riconosciuta nel suo senso profondo e nella sua eternità, nella sua totale pienezza, grazie all’incontro con don Giussani che – come disse il cardinal Joseph Ratzinger al suo funerale – “non conduceva a sé, ma a Cristo”.

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