Chi ritorna da un viaggio in Terrasanta, ritorna trasformato. Quando riprende in mano il Vangelo, infatti, rivive con vivacità straordinaria i luoghi di Gesù. Le quiete sponde del lago di Tiberiade, il verde del monte delle Beatitudini, i tornanti nel deserto da Gerico a Gerusalemme e, soprattutto, il Sepolcro della città santa. Sono folgorazioni.



Ed è quanto è successo a Luca Doninelli nel 2006: le sue tappe in Galilea, in Palestina e a Gerusalemme hanno acceso la miccia della Passione secondo i nemici e altri testi teatrali appena uscito per Ares. Libro bellissimo, spiazzante nella sua originalità, segnato dalla nostalgia di Cristo e dalla sete di verità.



Cristo resta sullo sfondo, il suo “identikit” ci viene consegnato dagli “avversari”, come Pilato, Erode o Caifa. Ma l’immagine “al negativo”, talvolta, ha una forza stupefacente. Basti pensare a quanto accadde nel maggio del 1898 al fotografo Secondo Pia quando sviluppò i primi negativi della Sindone…

La Passione è un crinale rischioso. È difficile essere intensi e originali. Nel Novecento ci sono riusciti maestri come Mario Luzi, Lagerkvist o il grande poeta cileno José Miguel Ibáñez Langlois.

Doninelli affronta questo crinale in alta quota, a viso aperto. Apre nuove vie: i suoi monologhi sono rasoi. Incalzano, bruciano, vanno all’essenziale. Perché in ballo c’è l’orizzonte di senso di ogni esistenza.



Il primo personaggio che incontriamo è Pilato, alle prese di un serrato interrogatorio con un suo superiore. Deve riferire della Crocifissione. Pilato è un amministratore che non vuole grane con Roma, un insonne che si alza nel cuore della notte per vagare nel labirinto del suo palazzo, che è lo specchio della sua mente attraversata da polvere e fumi neri. Pilato non ha dimenticato il suo dialogo sulla verità con l’Uomo della Croce: “Veramente un solo sguardo di quell’uomo sembrava in grado di mettere allo scoperto e abbattere le nostre menzogne…”.

La nostalgia tocca il cuore del procuratore. Sapeva che la condanna sarebbe stata ingiusta: “Quando me l’hanno portato davanti sapevo già che era innocente, e maledicevo la sorte perché sapevo che sarebbe stata la più brutta fra tutte le mie grane…”. E cerca di dare un sollievo al condannato: “Fui io a ordinare a mia moglie di seguirlo e, se possibile, di dargli conforto. Che civiltà sarebbe la nostra se non fossimo capaci nemmeno di porgere un panno caldo a un innocente che viene ucciso da una massa di ubriachi?”.

Lo sguardo di Cristo smuove anche Erode, ritratto nel suo deliquio mentre gioca con una radio che non si sintonizza su nessuna stazione: “Lui mi guardava in silenzio e io non sapevo misurare la profondità di quello sguardo e improvvisamente mi sentii cretino e mi guardai attorno e le donne erano tutte vecchie sdentate e i servitori deboli e flaccidi e tutto l’oro divenne ferro rugginoso e il vino aceto e la frutta poltiglia e io ebbi paura e il mio vuoto mi fu addosso come un cane fetente e rabbioso dai denti gialli…”.

E proprio guardando l’Uomo sulla Croce Erode ha un lampo di ravvedimento dalla sua vita cariata: “Dopo aver detto qualcosa che non compresi lanciò un grido altissimo e qualcosa tremò e scese un buio freddo che mi costrinse a tremare e in quell’istante compresi che io non ero dio e che solo una volta in tutta la mia vita ero esistito veramente”.

Il terzo “malvagio” di Doninelli è un Caifa assediato dai fantasmi. Quasi un Riccardo III assiderato nella solitudine e roso da un male incurabile che gli ha tolto anche il piacere delle donne. L’uomo che faceva stilare dossier sui discepoli di Gesù ora è sopraffatto dai rimorsi. Quasi non riesce a credere che un soldato romano, “che non avevo potuto istupidire a suon di chiacchiere”, abbia riconosciuto nel Trafitto il figlio di Dio. Comprende che c’è una verità sfuggita al suo radar…

Ma il viaggio di Doninelli non sonda solo gli abissi dei “nemici”. Tra i testi teatrali troviamo anche tre donne islamiche che supplicano la Madonna, la risposta della stessa Maria e lo stupore dell’arcangelo Gabriele che non si capacita del sonno di san Giuseppe dopo aver scoperto la gravidanza della sua promessa sposa.

La conclusione di questo itinerario tra i personaggi della Scrittura è una partita a scacchi tra Dio e il Diavolo. Ricorda il dialogo sulle ultime cose del Settimo sigillo. L’oggetto del contendere è però il profeta Elia. Il Diavolo non riesce a spiegarsi come Dio possa aver elevato quest’uomo al rango dei profeti. Lo vede come un orso, grande, grosso e peloso. Uno straccione dal pessimo carattere. Un violento. Un uomo franto dal punto di vista psicologico. Eppure, è proprio Elia che vince le seduzioni di Jezebel e i 450 sacerdoti di Baal, che moltiplica l’olio e la farina, che risuscita il figlio della vedova a Zerapta, che riconosce Dio nel vento leggero. Il diavolo non accetta la misericordia di Dio: “Chi sei? Questa domanda mi tormenta, mi impedisce di dormire, mi rode dentro le viscere. Chi sei? Io ti odio e tu mi ami, ma non so accettare questo amore perché non è nei patti, non è nelle regole…”.

Già, i piani di Dio non sono quegli degli uomini. Sono queste le ultime parole di un libro splendido, teneramente aggrappato alla Scrittura. Sono parole di speranza. Una luce in questo nostro tempo martoriato.

venerdì 1° aprile alle ore 21.00 nella chiesa di San Pio V a Milano (Via Lattanzio, 60) il Teatro degli Incamminati – DeSidera porterà in scena “La passione secondo i nemici” di Luca Doninelli. Ingresso libero, tutte le informazioni qui.

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