L’istruzione classica è, da qualche anno, in crisi, di fronte al dilagare della semplificazione del mondo che ci circonda a discapito della complessità, della “liquidizzazione” che qualifica la società contemporanea secondo la lezione di Bauman, della tecnologia che sostituisce il pensiero strutturato e sistematico. Cosa può fare dunque la scuola per formare, informare e, soprattutto, educare le nuove generazioni di nativi digitali ad avere in mano uno smartphone e in bocca il biberon?
Il nostro Paese si merita la classe dirigente che abbiamo al potere, perché è lo specchio – una sorta di speculum principis che andava di moda nel Medioevo – di quello che noi italiani forse vorremmo essere o siamo, ma non possiamo, perché la realtà quotidiana ci impone di essere altro dagli stereotipi e dai luoghi comuni. O almeno ci proviamo.
L’ultima uscita proviene dal ministro Cingolani, ministro della Transizione ecologica: “Serve più cultura tecnica. Il problema è capire se continuiamo a fare tre, quattro volte le guerre puniche nel corso di dodici anni di scuola o se casomai le facciamo una volta sola, ma cominciamo a impartire un tipo di formazione un po’ più avanzata. Serve formare i giovani per le professioni del futuro: quelle di digital manager per la salute, per esempio”. Come quasi tutti forse vagamente ricordano, con la definizione di “guerre puniche” si indicano tre guerre fra Roma e Cartagine avvenute rispettivamente tra gli anni 264 e 241 a.C. (con una ripresa nel 238 a.C.); 219 e 201; 151 e 146. Ovviamente prima di Cristo. Le relazioni tra Roma e Cartagine furono ottime fino a quando la Città Eterna non fu una potenza navale e commerciale e finché, di conseguenza, i suoi interessi furono confinati all’Italia continentale.
Come era scontato nel dare fiato alle trombe, ne è nata una polemica tra diverse personalità famose: da Massimo Gramellini sul Corriere della Sera (“Studiare quattro volte male le guerre puniche, magari no. Ma un paio di volte bene, una alle medie e una al liceo, servirebbe eccome anche ai futuri digital manager”), a Marcello Bramati su Panorama (“L’uscita del ministro Roberto Cingolani sull’inutilità delle guerre puniche è l’ennesima picconatura alle discipline umanistiche”, “la storia si ripete e basterebbe questo per dar prova che studiarla è necessario”).
Per la maggior parte dei docenti, la polemica è trita e ritrita, anzi stantia: non vi è alcun conflitto tra cultura umanistica e cultura scientifica, perciò tra istruzione scientifica e istruzione umanistica, persino nella sua “variante” più specialistica, ovvero quella classica. Infatti, come scrive il fisico Lucio Russo nell’epilogo del saggio Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista (Mondadori 2018), “per molti secoli, la cultura occidentale si è sviluppata usando materiali intellettuali tratti dalla civiltà classica senza averne piena consapevolezza. Molte idee antiche sono state assorbite indirettamente, in genere in maniera deformata, come sottoprodotto di studi intrapresi a tutt’altro scopo (…) Opere matematiche come gli Elementi di Euclide, studiate per i tecnici, hanno assuefatto gli studiosi moderni a elementi essenziali del metodo scientifico”.
Emblema concreto dell’istruzione classica è appunto il liceo classico, un vanto tutto italiano che il mondo ci invidia. Il liceo classico, una peculiarità del sistema scolastico del nostro Paese, non è mai stato così attuale per le giovani generazioni del terzo millennio: “Un classico – scriveva Italo Calvino – è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”; gli antichi, quindi, ci parlano ancora, e le lingue classiche sono proprio il veicolo per accedere direttamente ai loro testi.
È uscito di recente un volume dedicato a questo tipo di scuola: Saulo Delle Donne, Marco Ricucci, Giampiero Ruggiero, Il liceo classico oggi. Dieci voci per sceglierlo tra modernità e tradizione (Il Grifo 2021). Questo volume dà voce, per la prima volta, ai docenti italiani che ogni giorno lavorano proprio su queste lingue, in questo tipo di scuola con alunne e alunni, per dare uno spaccato del liceo classico dal Nord al Sud dello Stivale, mostrando passione, vitalità e – non bisogna sottovalutare questo aspetto nell’opera educativa dei giovani – dedizione. Ne emerge un quadro stimolante e creativo, che può divenire anche utile strumento per i genitori per aiutare i figli nell’orientamento dopo la scuola media.
Mai la cultura classica è stata più “attuale” nella storia umana, proprio per ciò che sta succedendo intorno a noi; guardare le nostre radici è saper comprendere meglio i frutti che sono nati sul grande albero della storia. Anche il mondo politico ne ha preso atto, dando una sorta di riconoscimento pubblico e ufficiale. Il 16 novembre 2021 è stato dichiarato “Prima giornata europea delle lingue e culture antiche”, promossa dal ministro dell’Istruzione francese, Jean-Michel Blanquer. È stata anche redatta una Dichiarazione congiunta dei ministri dell’Istruzione europei volta a rafforzare la cooperazione europea per lo studio del latino e del greco antico a firma dei ministri dell’Istruzione francese, italiano, cipriota e greco, poiché sono persuasi che “il latino e il greco antico sono l’eredità viva e caratterizzante della base comune della cultura europea e mediterranea, e la linfa delle loro rispettive lingue”.
E allora, che può dirci un volume sul liceo classico scritto da docenti che sono anche educatori delle nostre allieve e dei nostri allievi? Ne parleranno oggi all’Università del Salento i curatori della miscellanea, nella presentazione ufficiale del volume, insieme alla dottoressa Elisa Cutelli, dirigente scolastica del Liceo classico “Cutelli” di Catania, scuola capofila della Rete nazionale dei licei classici; al professor Mario Capasso, presidente dell’Associazione italiana di cultura classica; al magnifico rettore, Fabio Pollice; al dirigente Uts Vincenzo Melilli; alla direttrice di “Nea Agoghe”, Centro di didattica delle lingue classiche, Lucia Saracino.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.