La settima stanza è un ottimo film del 1995 che narra la vita di Edith Stein (1891-1942), filosofa, divenuta monaca carmelitana col nome di suor Teresa Benedetta della Croce, proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1998. Si tratta di un film coinvolgente e drammatico. La regista è Marta Meszaros, nata in Ungheria nel 1931, che ne ha curato anche la sceneggiatura. Nelle sue opere cinematografiche, con il suo stile limpido e profondo, basato su dialoghi ridotti al minimo e su un uso ardito delle ellissi narrative, ha spesso illustrato il punto di vista femminile. Ha inteso così incoraggiare la presa di coscienza delle donne sulla loro condizione di sudditanza ancora presente nella società che avrebbe dovuto compiere la loro liberazione, la società del socialismo realizzato.
In effetti anche in questo film la protagonista è una figura forte, consapevole e decisa, disposta sempre a pagare il prezzo delle proprie scelte, che non a caso è stata definita “la santa ribelle”. Il titolo, La settima stanza, richiama le sette stanze o dimore, ossia le tappe della conoscenza interiore secondo l’ascesi della carmelitana santa Teresa d’Avila. Nel film Edith, divenuta monaca, le spiega nel corso di un intenso dialogo ad una novizia la vigilia della propria professione religiosa, anche se la scena non appare credibile in quanto, se fosse vera, sarebbe in palese contraddizione con la regola ferrea del silenzio claustrale.
La filosofa ebrea tedesca, nata nel 1891 a Breslavia, città ora in territorio polacco, da una famiglia di agiati commercianti, era stata una bambina vivacissima, molto dotata per lo studio, poi un’adolescente piuttosto inquieta, protesa alla ricerca di nuovi orizzonti. Dopo il conseguimento della maturità e gli studi universitari nella sua stessa città, si sposta nel 1913 a Göttingen, dove ha modo di conoscere il filosofo Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia, che segue con entusiasmo e di cui ben presto diventa assistente fino a trasferirsi all’Università di Friburgo.
Nel frattempo, dopo aver abbandonato da tempo la fede dei padri e della sua famiglia, Edith sta maturando la conversione al cattolicesimo, preparata dalle testimonianze di vita cristiana che ha incontrato, da quella della semplice casalinga che passa un attimo in chiesa con la borsa della spesa alla lettura appassionata della Vita di Teresa d’Avila. Per anni ha cercato la verità con categorie razionali e filosofiche, ora comprende che la verità è un rapporto, la si trova nell’amicizia con Dio e con colui che egli ha mandato, Gesù Cristo. “La mente non può produrre la verità… Chi cerca la verità cerca Dio, senza saperlo”, sono alcune delle sue battute nel film. Nel 1922 chiede e riceve il battesimo. Questo evento porta alla dolorosa e irreparabile rottura con la famiglia, soprattutto con la madre, donna “indipendente, orgogliosa, sicura di sé” come dirà la stessa Edith. Ella dopo la morte prematura del marito ha assunto energicamente la direzione della casa e dell’azienda dimostrando ottime doti manageriali. “Sono tua figlia, sono esattamente come te” afferma la giovane nel film a proposito dello sconcerto e dell’incomprensione della madre, sottolineando la determinazione che le accomuna.
Negli anni successivi alla conversione la Stein si dedica con passione all’insegnamento, alla traduzione di opere classiche e alla scrittura di saggi e recensioni, tiene conferenze. Tutte attività dalle quali traspaiono la profondità del suo pensiero e l’acutezza del suo ingegno. Nel 1933, a causa dell’ascesa al potere di Hitler e alla emanazione delle leggi razziali, è costretta a lasciare l’attività di docente che svolgeva in un istituto di Münster. Si rammarica: “Una volta non potevo insegnare perché ero donna, adesso non posso insegnare perché sono ebrea”. Nello stesso anno Edith compie un’altra scelta radicale e definitiva: chiede e ottiene di entrare nell’Ordine delle Carmelitane scalze di Colonia e veste l’abito religioso.
Dopo le violenze della Notte dei cristalli nel novembre 1938, con cui in Germania ha di fatto inizio la Shoah, prevedendo grosse difficoltà per gli ebrei e per coloro che li proteggono, suor Teresa Benedetta valuta l’opportunità di trasferirsi in un Carmelo all’estero. La scelta cade su Echt, piccola località olandese, dove ritiene di trovare un rifugio sicuro. Ma il furore persecutorio del nazismo giunge fin lì. Nel 1940 si assiste infatti all’occupazione tedesca dell’Olanda. In seguito alla protesta dei vescovi olandesi che denunciano in una lettera pastorale la persecuzione e le deportazioni di cui sono vittime gli ebrei, arriva immediata la rappresaglia e un’ondata di arresti investe anche gli ebrei cattolici. Il 2 agosto 1942, Edith e la sorella Rosa, che l’ha raggiunta ad Echt, vengono prelevate al convento dalle SS, il 7 agosto vengono trasferite verso est per trovare la morte nel campo di Birkenau, presso Auschwitz, probabilmente il giorno successivo. L’ultima scena del film ricorda straordinariamente la Pietà Vaticana di Michelangelo. Dal corpo nudo di Edith, disteso come un bimbo sulle ginocchia della madre finalmente ritrovata, si alza un grido: Mamma, ho paura!
Troviamo un’eco di questa potente figura anche nella musica. È una canzone del 1991, Il carmelo di Echt del cantautore Juri Camisasca, cantata da Franco Battiato.
E per vivere in solitudine nella pace e nel silenzio/ ai confini della realtà,
mentre ad Auschwitz soffiava forte il vento/ e ventilava la pietà,/ hai lasciato le cose del mondo,
il pensiero profondo dai voli insondabili, /per una luce che sentivi dentro, le verità invisibili.
Dove sarà Edith Stein?/ Dove sarà?
I mattini di maggio riempivano l’aria/ i profumi nei chiostri del carmelo di Echt.
Dentro la clausura qualcuno che passava/ selezionava gli angeli.
E nel tuo desiderio di cielo una voce nell’aria si udì:/ gli ebrei non sono uomini.
E sopra un camion o una motocicletta che sia/ ti portarono ad Auschwitz.
Dove sarà Edith Stein? Dove sarà?