In un mondo che si limita a “consumare” immagini, sempre di più necessita un’educazione dello sguardo: imparare cioè a guardare, ad accorgersi – e magari a stupirsi – di quel che succede quando, fissandolo, un oggetto ci si svela ben oltre la sua mera apparenza di fenomeno, fino a comunicarci “quell’alcunché di tangibile che potremmo chiamare mistero” (F. Kupka). Tutta la realtà esiste per essere guardata, essendo l’uomo l’autocoscienza del cosmo. Ma se questo riguarda la realtà nel suo insieme, tanto più vale per quella manifestazione della realtà che è l’espressione artistica.
Proprio su questo tema ruota il nuovo numero del trimestrale Linea Tempo che, con l’accattivante titolo del dossier “Guarda con me”. Educare all’arte, propone una serie di interventi che spaziano sul tema.
In primis, la presentazione di una prospettiva di educazione al patrimonio culturale quale elemento cruciale per contribuire al miglioramento culturale, appunto, ma anche sociale della vita di ciascuno: si tratta di progetti e iniziative maturate nell’ambito di una riflessione comune a tutta l’Unione Europea che, dal 2006, ha scelto di darsi una normativa finalizzata a stabilire come il patrimonio culturale possa essere agente di processi di educazione alla cittadinanza e alla costruzione di una identità europea.
Interessante, a questo proposito, anche l’intervento dedicato alla realtà di Crea (Centro di ricerca per l’educazione attraverso l’arte e la mediazione del patrimonio culturale e nei musei), il cui contributo propositivo è quello di fornire professionalità esperte e aggiornate in grado di promuovere e sostenere il diritto di ogni persona a partecipare alla vita culturale del proprio territorio e non solo.
Altri interventi che seguono sono volti a segnalare come – negli ultimi anni – si sia incrementato l’insegnamento dell’arte attraverso le nuove tecnologie e come pure, sempre più frequentemente, il patrimonio culturale stia interagendo con il disagio sociale. La costruzione di una guida per il Refettorio Ambrosiano di Caritas Ambrosiana, a Milano, è un altro esempio, singolare e prezioso, della possibilità, già in atto, di accompagnamento totale alla persona in un dialogo costante tra il “bello” e il “buono”.
A supportare questi contributi, di natura prevalentemente “formativa”, ne seguono altri, più specificamente didattici, con un focus sul mondo della scuola: dalla primaria alla secondaria, di primo e secondo grado. Incontrare l’opera d’arte è sempre un’avventura irrinunciabile come irrinunciabile è l’esperienza di viverla con le nuove generazioni. Quelle presentate sul numero 21 della rivista, sono esperienze fresche e persuasive: forniscono uno spaccato di vita scolastica che stupisce e commuove per la semplicità, l’ingenuità e l’entusiasmo degli interlocutori alle loro prime armi di “critici in erba”. Guidati con sapienza dai loro docenti, queste “creature” si inoltrano nell’esperienza artistica (i più piccoli addirittura cimentandosi nella copia dell’opera) come dei giovani esploratori in un territorio incontaminato, che comincia a svelarsi in tutta la sua potenza di suggestione evocativa.
Quante volte ci siamo sentiti ripetere che sarà “la bellezza a salvare il mondo”, ma abbiamo mai riflettuto veramente sul contenuto di questa affermazione, sulla sua densità? Ci siamo mai chiesti che esperienza di bellezza stiamo facendo? Proprio questa posizione, questo atteggiamento, questo sguardo, insomma, andrebbe educato a cominciare dalla prima infanzia, l’età privilegiata perché ancora scevra da pregiudizi e sovrastrutture.
Far vivere un’opera nel momento stesso in cui la si guarda, permette infatti a chiunque – e tanto più a bambini e adolescenti – di “aggiungervi qualcosa”, di compierla nel suo destino ultimo di capolavoro, di “consumarla” sì, ma nel senso del latino consumere: struggersi cioè per la sua bellezza e più ancora per la bellezza del dramma che l’ha generata. Si tratta, in un certo senso, di sorprendere l’io dell’artista in azione: che cosa accadeva a quell’uomo mentre dipingeva quella natura morta, quel volto, quel paesaggio, mentre scolpiva quella pietra… E che cosa accade a me nel pormi di fronte alla sua opera con la coscienza del dramma segreto che in quei tratti e in quelle forme si nasconde e si svela.
Per “guardare bene” occorre, insomma, partire dalla realtà dell’opera che è giunta fino a noi, occorre aderirvi, lasciarsene in qualche misura invadere e ferire proprio come accade all’artista di fronte all’oggetto della sua rappresentazione.
Esattamente in questa direzione, una lettura attenta e ragionata del nuovo numero di Linea Tempo ci può offrire un contributo prezioso.