La lettura del “Gatto con gli stivali” non fa per voi? La considerate datata, vetusta e obsoleta? Non perdiamo tempo a discutere; eccovi servita, a cura di Ashlee Vance (Hoepli, 2017) la biografia di Elon Musk, novello – nonché attualissimo – Gatto con gli stivali. Elon Musk, sì: quello di Tesla, di SpaceX, della colonizzazione di Marte, di Hyperloop e Neuralink… Dimenticavo PayPal, Solar city, Boring Company e Open AI. Come il figlio del mugnaio della fiaba tramandataci da Perrault, Musk non nasce con la camicia: cresce alla periferia di Pretoria in Sudafrica, in un ambiente socio-famigliare oscillante tra il deprimente e il degradato dal quale non riceve alcuna eredità, se non appunto un “gatto”.
Nel suo caso, come per il protagonista della fiaba, il gatto rappresenta il pensiero, l’agenzia di consulenza personale di cui ciascuno dispone a costo zero. Quando a diciassette anni Elon lascia il Sudafrica in cerca di fortuna in tasca ha solo il biglietto aereo. Dalla sua esperienza ha comunque ricavato un piccolo capitale, non senza meriti dei due sgangherati genitori. Due soggetti per nulla raccomandabili, specialmente il padre Errol. Un uomo che a giudizio dei figli “sapeva come far male”, sul quale, secondo la saggia regola di Elon, non è il caso di aggiungere altro. Eccentrici o cattivi che fossero, dai genitori Musk non ricevette mai un rimprovero per le ore passate immerso in libri d’ogni tipo, o quando da bambino – dopo aver esaurito la biblioteca di quartiere – si intrufolava di nascosto nelle librerie.
Cominciamo allora a osservare che il gatto/pensiero di Elon Musk è un felino opulento, ben nutrito e dall’appetito insaziabile. Ogni fiaba traspone in chiave ironica fatti che in origine erano orrendi e spaventosi. Nel “Gatto con gli stivali” si racconta che il futuro marchese di Carabas – il rango che il figlio del mugnaio voleva raggiungere e poi riuscì a ottenere – venne aggredito dai briganti, che lo lasciarono nudo in un fosso. Musk da ragazzo finì nelle grinfie di una banda di bulli che lo mandarono all’ospedale a suon di calci in testa privo di sensi. Un episodio che Musk racconta con distacco e sul quale ebbe l’abilità psichica di non costruire alcuna carriera, neppure quella da vittima.
La carriera la cercò invece in altri lidi, seguendo i suoi interessi e le sue passioni. Non che siano mancati gli ostacoli (difficoltà neutra) e i nemici (difficoltà introdotta da un altro ostile), elementi immancabili in ogni fiaba che si rispetti. Nel “Gatto con gli stivali” compare un Orco. Un uomo ricchissimo, proprietario del castello più bello del regno, ma pronto a farti a pezzi se i tuoi progetti non dovessero rientrare nelle sue logiche. La metafora del “fare a pezzi” è perfetta per rendere la crisi di Tesla del 2008. Il progetto di fare un’auto completamente elettrica per entrare nel segmento delle auto di lusso aveva scatenato l’ilarità dei colossi di Detroit e gli appetiti finanziari degli short seller. Quando la società si trovò in crisi di liquidità, Vantage Point Capital Partners cercò di mandarla in bancarotta. Vantage Point era uno degli storici finanziatori dell’azienda, che ora progettava di rilevare la società, “fare a pezzi” Tesla e concentrarsi “sulla vendita di trasmissioni e batterie anziché costruire un’auto”. Nello stesso anno anche l’avventura di SpaceX rischiò di andare in frantumi. I primi tre lanci (sui quattro previsti) dei razzi interspaziali Falcon fallirono, bruciando nello spazio anni di lavoro e tutti i proventi della vendita (miliardaria) di PayPal.
Come andò a finire Ashlee Vance lo documenta nel suo libro, noi invece passiamo a un altro scenario, quello che nella fiaba è introdotto dalla figura del re in rappresentanza dello Stato. Il marchese di Carabas se la cava benissimo con il re, tanto da riceverne in sposa la figlia. Fuor di metafora: quando Musk fonda SpaceX sfidando gli dei dell’industria spaziale americana, Nasa, Boeing, Lockheed Martin e poco altro, entra in una dimensione imprenditoriale dove gli Stati sono i players principali. Il fascino dell’avventura spaziale di Musk è in gran parte racchiuso nella sua capacità di instaurare con lo Stato un rapporto da “istituzione a istituzione”, mandando all’aria l’idea del rapporto Stato-cittadini pensato come dialettica “pubblico-privato”. Musk non è “un privato”. Come il figlio del mugnaio si è conquistato il rango di marchese, così Musk si è conquistato il rango di attore pubblico. Ciò che gli Stati perseguono conquistando lo spazio – si suppone a beneficio di tutti – anche Musk lo persegue con la sua industria privata.
Torniamo ancora alla fiaba. Uno dei capolavori del “Gatto con gli stivali” è il matrimonio con la figlia del re. Elon ha tre matrimoni alle spalle, oltre a due convivenze. Dall’ultima compagna, la cantante Grimes, ha avuto il settimo figlio. Per il bimbo nato il 4 maggio 2020 la coppia ha pensato l’improbabile nome di X Æ A-12. Una sigla – come spiega la madre – che rimanda a un veicolo spaziale super veloce “senza armi né difese”, progettato solo per la velocità e per questo “l’ideale in una battaglia” ma al tempo stesso “non violento”. Nome strano, ma non ingenuo, e forse neppure così lontano dall’idea degli “stivali delle sette leghe” che permettevano al Gatto della fiaba di spostarsi in un lampo.
Negli affari di cuore comunque Elon non brilla come in altre sue imprese, un punto caldo che non cessa di interessarlo. Ce lo rivelano certe sue domande improvvise che lasciano di stucco l’interlocutore: “mi piacerebbe dedicare più tempo alla vita sentimentale” ma “quante ore vuole una donna alla settimana?” Qual è “il minino sindacale?”. La mente iper-(r)azionale di Musk “decostruisce”: cerca di scoprire i segreti dell’amore allo stesso modo in cui ha scoperto il segreto degli affari. Ma alla fine come dargli torto: l’idea di non scomporre in segmenti il campo dell’esperienza umana potrebbe essere vincente: business is business!