Alcuni amici di Facebook hanno postato questo passo del primo libro dell’Eneide (la traduzione però è mia): “Ma che stirpe di uomini è questa, che patria così barbara / permette questa usanza? ci è impedita l’ospitalità sulla spiaggia; / ci fanno guerra e ci vietano di toccare terra. / Se disprezzate il genere umano e le armi dei mortali / almeno temete gli dèi, che ricordano il giusto e l’ingiusto”.



Ritorniamo dunque al tema dell’accoglienza, recuperando del passo il contesto e indagando su altri spunti forniti dal poema al tempo che viviamo. I reduci Troiani hanno lasciato l’ultima tappa del viaggio, la Sicilia, con l’intento di navigare verso il Lazio, la terra promessa finalmente vicina. Ma la dea Giunone ha provocato una tempesta che ha sconvolto la rotta, ha fatto naufragare una nave e altre ne ha disperse, solo sette approdano con Enea in una riva solitaria dell’Africa. Inaspettatamente però vi sono altri superstiti, usciti dal mare in una diversa parte del lido: dalle loro parole capiamo che sono giunti su una spiaggia abitata e sono stati malamente respinti. L’anziano Ilioneo a loro nome si rivolge a Didone, fondatrice e regina di Cartagine: il lamento che abbiamo letto esprime l’offesa del naufrago cui è rifiutata la prima accoglienza, la prima possibilità di riposare e rimettersi in sesto, il rispetto dovuto al supplice.



La storia che racconta alla regina esprime però anche una dolorosa dignità: i naufraghi non vengono a portare via nulla, altre terre possono accoglierli se la vera meta cui tendono è resa impossibile dalla morte di chi li guidava. La tempesta ha diviso il popolo, ogni gruppo di superstiti ignora l’altro e lo teme scomparso per sempre, ma se il prescelto dal destino fosse morto si aggiungerebbe al dolore la desolazione di una storia terminata, finita nelle terre di Sicilia dove possono ormai solo tornare per fermarsi.

Didone ascolta partecipe: anch’essa è un’esule, fuggita dalla violenza della terra d’origine, la Fenicia, e approdata in terra straniera, dove ha dovuto conquistarsi uno spazio in cui rifare una patria: teme sempre un assalto o un agguato, ed è costretta alla difesa, “a sorvegliare e proteggere i territori per largo tratto”. Ma i Troiani possono fermarsi, per breve tempo se hanno altre mete o per sempre se lo vorranno: “Troiano o Fenicio sarà trattato da me senza alcuna distinzione”.



Enea ha ascoltato non visto il colloquio, e si rivela riconoscendo nella regina la straordinaria capacità di un’accoglienza senza possibilità di ricambio: “O tu che i sopravvissuti ai Greci, per terra e per mare / già sfiniti da tutte le vicende, bisognosi di tutto, / associ nella città e nella casa, / noi non possiamo, Didone, ricambiarti degnamente /…Gli dèi, se vi sono numi che rispettano i pii, / se vale qualcosa per qualche dove la giustizia e la mente consapevole del bene compiuto, / ti diano premi degni”.

È il momento del gioioso ritrovarsi fra amici che si credevano perduti: Didone assiste al loro incontro, stupita dell’improvviso apparire di Enea e  della grande avventura cui ha fatto cenno, in cui crede di rivedere la sua storia: “Anch’io, travagliata da molte simili fatiche, la fortuna finalmente ha voluto che mi stabilissi in questa terra”. Nel suo primo discorso ad Enea c’è già l’incomprensione di chi confonde destino con casualità e fortuna; ma c’è anche la magnanimità di chi conosce il dolore: “Non ignara del male, ho imparato a soccorrere i miseri”.

L’intervento delle dèe confonderà la loro storia, Venere per assicurare un’ospitalità già certa, già concessa, Giunone per bloccare il destino: ma questa è un’altra vicenda su cui non ci fermiamo.

A fatica, con dolore, e non tutti, i Troiani giungono finalmente nel Lazio atteso e promesso. Di nuovo tocca a Ilioneo presentarsi come ambasciatore al re Latino, che l’ accoglie benevolo, pensando ad un naufragio, a vittime in cerca di un’ospitalità provvisoria: “Se per sbaglio di rotta, o spinti dalle tempeste, / come i marinai ne soffrono in gran numero sul mare profondo, / siete penetrati fra le rive del fiume e sostate nel porto, / non fuggite l’ospitalità”.

Ma questa volta la richiesta è diversa. I Troiani giungono in una terra che dovranno condividere con chi vi abita da sempre, mandati dal destino in nome di un’antica parentela con quel luogo: lì devono costruire una nazione: “il fato divino a cercare la vostra terra / col suo comando ci ha spinti”. Latino riconosce nei presagi la volontà divina: accetta la richiesta, propone nozze e l’unità dei due popoli.

Non sarà così facile come il vecchio re immagina. Giunone odia il popolo sopravvissuto, che non si arrende alla persecuzione: “Vinti, hanno potuto non lasciarsi vincere?… In mezzo agli eserciti, in mezzo alle fiamme hanno trovato la strada!”. E vi sarà una nuova guerra, nuove sciagurate alleanze, nuovi morti da seppellire: “Pace per i morti, per chi la sorte di guerra ha ucciso / mi chiedete? Anche ai vivi vorrei concederla. / Non sono venuto se non perché il destino mi ha dato luogo e sede / e non faccio guerra col popolo”: così dirà Enea in un momento di tregua, prima che si compia l’ultimo scontro e che anche Giunone accetti la coesistenza pacifica dei due popoli.

 

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