Mancava un libro su Claudio Rocchi, tra i più importanti rappresentanti della scena musicale italiana, e non solo degli anni 70 dove spesso viene relegato, ma di sempre. Ci ha pensato Walter Gatti, giornalista musicale e scrittore dal lungo percorso, con Essenza – Vite di Claudio Rocchi (Caissa Italia, 256 + 32 pagine, 25 euro).
Personaggio straordinario, musicista colto, giornalista, speaker radiofonico, videomaker, filosofo, priore di una comunità Hare Krishna, fondatore di una radio libera in Nepal, ma soprattutto uomo animato da una insaziabile curiosità e da un cuore teso ad appagare la sua sete di conoscenza, dal desiderio di svelare il volto di Dio, o comunque lo si voglia chiamare. Come dice Gatti, “Rocchi è stato segnato da un paio di vizi capitali: non è mai stato allineato ed è sempre rimasto rigidamente integro nelle sue scelte. Questo l’ha segnato nel bene e nel male e l’ha tenuto al limitare dei circoli che contano, dentro e fuori dalle sette note”. Un personaggio certamente difficile e scomodo, per chi ha bisogno di rinchiudere tutti nelle gabbie ideologiche (“Da destra mi hanno sempre visto di sinistra, da sinistra di destra, io ho sempre avuto il vezzo di scegliere l’Alto” disse in una intervista Rocchi), capace anche di mettere in secondo piano la sua carriera musicale per dedicarsi alla ricerca spirituale, con lunghe permanenze in India e Sardegna.
Il libro di Gatti è approfonditissimo, un’opera omnia che indaga ogni aspetto, dalla nascita nella Milano del dopoguerra, alle prime avventure musicali nell’effervescente clima musicale degli anni 60, dallo sgargiante esordio musicale solista, imbevuto delle atmosfere hippie e psichedeliche della West Coast americana, fino ai suoi ultimi giorni. Il tutto con testimonianze e interviste di prima mano, ad esempio del fratello Roberto o della sua ultima compagna, Susanna Schimperna, che lo ha accompagnato nel suo letto di morte. Il tutto sapientemente collocato nei contesti storici di ogni periodo.
Claudio Rocchi imbocca una strada precisa già appena 15enne, attratto dalla poesia beat e dal profumo di psichedelia nella Milano provinciale e grigia degli anni 60: “Le droghe nella mia vita le ho provate quasi tutte, ma come sperimentazione controllata, non come sballo”. A 15 anni, (chissà dove la trovò) provò addirittura la mescalina. Viene colpito dai Beatles, come tutti, e nel 1966, bassista nel gruppo degli Sconosciuti, viene notato a un provino studentesco dalla prestigiosa RCA, quella di Lilli Greco, che lancerà gente come De Gregori e Venditti. Viene invitato a un provino a Roma, ma lui dimostra di essere già oltre e invece di cantare canzoni improvvisa a ruota libera “nessuna canzone che avesse una struttura compiuta, un ponte, una strofa, un ritornello”.
Nel 1969 comincia l’avventura con gli Stormy Six, in cui Rocchi suona il basso. Il resto è storia, raccontata benissimo in questo libro, e per la prima volta con una tale ricchezza di dettagli: Rocchi prende “il volo”.
Ecco la “Milano alternativa” dei primi anni 70, che ruota attorno alla mansarda dove vive Rocchi: “Ci si vedeva il sabato pomeriggio, ci si tappava in casa (…) A gruppi di dieci alla volta si facevano esperienze con dosaggi vieppiù progressivi di funghi, acidi, psilocibina, mescalina”. Una scena di cui facevano parte tutti gli emergenti di allora, da Franco Battiato a Eugenio Finardi ad Alberto Camerini.
Non solo Rocchi; anzi, attraverso Rocchi il libro racconta in maniera dettagliata tutta la scena musicale degli anni 70, dai primi festival alla contestazione; le case discografiche viste da dentro, le radio, la Rai e i viaggi in India naturalmente. E i protagonisti di quei giorni. Di Claudio c’è veramente tutto, ognuna delle sue infinite attività con testimonianze dirette di chi era presente. Imprenscindibile il ruolo di Susanna Schimperna, compagna dell’artista fino al momento della morte (“Mai un lamento, energie come quelle di un ragazzo. Incoraggiava gli altri, si occupava di me che non ho un carattere facile”), che ha aperto all’autore i diari privati di Rocchi.
Un libro scritto benissimo, come capita di rado in Italia, che non annoia mai e che apre un mondo, purtroppo scomparso, ricco di fermenti e di creatività.
Poco tempo prima di morire, quasi con profetica sensibilità, Claudio aveva detto: “Credo sia necessario lavorare a diffondere e sviluppare una cultura della morte, che ce la presenti senza reticenti paure (…) parlarne insomma invece di nasconderla (…) la morte capita soli ai vivi, è un fatto della vita: vigiamo parlarne?”.
Rocchi anche dopo la sua scomparsa testimonia della dignità dell’uomo libero, impegnato a conoscere se stesso e il prossimo, della positività di chi accetta le sfide della vita e non si tira indietro. Un artista che ci manca, sempre di più, ogni giorno.
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