Per celebrare il centenario della nascita di Ettore Bastianini, Zecchini Editore (uno dei rari specializzati nel settore della musica classica) ha affidato a tre specialisti di chiara fama (Maurizio Modugno, Luisella Franchini, Valerio Lopane) la redazione del volume: Ettore Bastianini: la più bella voce al mondo (Varese 2022, pp. 314. € 35). È un’opera importante sia perché Bastianini ha avuto una (o meglio due) carriere non lunghe ma di grande spessore, sia perché si tende a perdere di vista gli interpreti dopo alcuni anni che non li si vede più sul palcoscenico. Tanto più che il centenario della nascita di Bastianini quasi coincide con quello di due “mostri sacri” della lirica del secolo scorso – Maria Meneghini Callas e Renata Tebaldi – che inevitabilmente tendono a offuscare il suo.



Il volume comprende, dopo un saggio di Maurizio Modugno su Bastianini come interprete (sia vocale che attoriale), una dettagliata biografia, un’analisi del suo contributo artistico letto attraverso le opere cantate più frequentemente o a cui è più spesso associato il suo nome, una cronologia dei ruoli interpretati da basso (la sua prima carriera) e una di quelli interpretati da baritono (la sua seconda, e più nota, carriera), oltre d una discografia, una bibliografia e un elenco antologico di recensioni apparse su stampa nazionale ed estera, nonché i consueti indici dei nomi. Un lavoro, quindi, completo a cui dubito ne seguiranno altri di analoga portata.



Ho avuto la fortuna di ascoltare Bastianini quando ero giovane a Roma, Bologna e Milano prima di trasferirmi nel 1967 (era morto da due anni) negli Stati Uniti. Ho alcuni dischi in cui è interprete prevalentemente di opere liriche. Ho il ricordo dei suoi legato, dei suoi fraseggi, delle sue “mezze voci” e delle sue grandi capacità attoriali. È, purtroppo, un ricordo un po’ sbiadito dal passare dei decenni, ma che la lettura del libro, accompagnata dall’ascolto di qualche Long Play in vinile mi ha fatto tornare alla mente. Non so se si possa dire, quasi apoditticamente, che la sua è stata la più bella voce al mondo. È, senza dubbio, stata una delle voci notevoli del ventesimo secolo. Specialmente, nella sua seconda carriera, quella da baritono. «È una voce splendida, maschia, solenne, timbrata, scura ma non cavernosa, capace di bei colori», si scrive in un passo importante del libro. Indimenticabili i suoi Nabucco e Rigoletto.



Debuttò da basso, a 23 anni nella parte di Colline nella Bohème a Ravenna. Seguono Basilio, nel Barbiere, a Pisa nel novembre del 1946, e al Cairo, nello stesso inverno, cui si aggiunge, sempre in suolo egizio, Raimondo nella Lucia di Lammermoor. Il debutto ai Giardini Boboli di Firenze avviene il 5 giugno 1947, come Colline con Rolando Panerai cantato poi anche al Teatro Metastasio di Prato, cui seguono due debutti, quale Ferrando nel Trovatore e Ramfis nell’Aida, rispettivamente a Cesena e a Palermo. Nel 1948 canta per la prima volta al Teatro Regio di Parma, come Alvise in Gioconda accanto all’allora celebre Maria Pedrini, Arrigo Pola e Mario Pierotti diretto da Oliviero De Fabritiis.

La carriera di Bastianini basso, seppur non eclatante, pare ben avviata dal principio, specialmente nell’ambito dell’opera contemporanea: il 24 aprile 1948, infatti, debutta alla Scala, come Tiresia nell’Oedipus Rex (Stravinskij), accanto a Suzanne Danco e Mario Petri diretto da Nino Sanzogno. Sempre nello stesso anno è Colline ne La bohème diretto da Francesco Molinari Pradelli con Renata Tebaldi, Mario Filippeschi e Piero Guelfi a Torino. Il 1949 lo vede impegnato in una tournée egiziana, con Aida, Barbiere e Trovatore, e a Caracas (debutto sudamericano) con Aida, Bohème e Lucia. A dicembre un debutto, al Liceu di Barcellona, quale Giorgio Walton ne I puritani e a Parma in Fedora con Giacinto Prandelli e lo zio Bonzo in Madama Butterfly.

Dopo otto anni di una carriera dignitosa che, seppure costellata da una serie di affermazioni significative, non era riuscita a dare al cantante il successo internazionale che meritava, Bastianini incontrò a Torino un maestro: Luciano Bettarini, con il quale intraprese un lungo anno di sacrifici e di studi, al fine di passare alla corda baritonale. Nel settembre 1952 canta nella prima assoluta di Arsa del Giglio di Giuseppe Pietri a Portoferraio.

Nel 1952, il neo baritono debutta al Teatro dei Rinnovati a Siena, sua città natale, nella parte di Giorgio Germont in Traviata. Seguì Rigoletto, nella Fortezza Medicea della città toscana. La prima, grande conferma di Bastianini baritono avvenne alla fine di dicembre 1952, al Teatro Comunale di Firenze, con il debutto della parte del principe Jeletzki ne La dama di picche di Čajkovskij diretta da Artur Rodziński con Sena Jurinac, produzione di cui rimane la registrazione radiofonica.

Da allora tutta una serie di successi, in tutto il mondo e con un repertorio sempre più vario e sempre più ricco. Il libro li descrive in dettaglio. Così come analizza, quasi con affetto, l’insorgere di problemi oncologici e le cure, particolarmente gravose (e inefficaci) che venivano prodigate negli anni Sessanta. Limitano sensibilmente l’attività artistica di Bastianini, che rimane fermo (inspiegabilmente per i suoi contemporanei, ignari della malattia) per quattro mesi, da giugno a ottobre. Tranne delle recite piuttosto sfortunate di Trovatore a Prato, Ettore è principalmente impegnato a Vienna, in una serie di 19 recite. Nonostante le forze comincino a mancare, il baritono senese debutta nella parte di Mephistophélès ne La damnation de Faust di Hector Berlioz, a Napoli, il 26 dicembre.

L’ultimo anno di vita di Bastianini si ammanta di silenzio e solitudine, interrotta soltanto da qualche apparizione pubblica in Contrada (inaugurazione della Sede, in gran parte dovuta ai suoi contributi). Il grande baritono senese trascorre i suoi ultimi mesi parte nella sua città natale, capitano ancora in carica, parte sulle rive del Lago di Garda, a Sirmione, dove cerca conforto a un male che ormai lo condanna. Siena rimarrà per lui la città natale, la città della vita. Infine, si stabilisce definitivamente a Sirmione, forse conscio della prossimità della fine: e il 25 gennaio del 1967, vi muore a quarantaquattro anni, vicino alla giovane donna che aveva amato, che aveva lasciato, quattro anni prima, quando gli era stato diagnosticato il cancro e che gli è accanto nelle ultime ore. Siena gli riserva i funerali dei grandi e ne conserva la tomba presso il Cimitero del Laterino. 

Dotato di una voce estesa e, in origine, piuttosto scura (da qui l’equivoco di una classificazione come basso), Bastianini poté fregiarsi, nel decennio scarso di piena salute vocale, del più autentico timbro e spessore vocale del baritono verdiano, ed è proprio nelle parti, nobili e sostenute, del compositore di Busseto che realizzò le sue interpretazioni più celebri (prima su tutti Rodrigo del Don Carlo, poi Vargas nella Forza del Destino, Germont in Traviata, il Conte nel Trovatore, Renato nel Ballo in Maschera, Rolando nella Battaglia di Legnano, Rigoletto, Nabucco, ecc.).

La perfezione della tenuta dei fiati, e della plasticità conseguente del legato lo indicavano, all’epoca, anche nelle parti di baritono drammatico belcantista, specie in Donizetti: Alfonso nella Favorita, Enrico nella Lucia di Lammermoor, Severo nel Poliuto, uno dei suoi più grandi successi scaligeri. L’abilità del canto tenuto a mezza voce è illustrata da Bastianini nel Don Carlo diretto da Von Karajan, Salisburgo 1958, con l’arioso “Carlo ch’è solo il nostro amore”.

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