Sono arrivato a Etty Hillesum su indicazione di un amico, che mi ha dato solo due consigli, peraltro facilissimi da seguire: “leggi l’edizione integrale, perché le antologie la ‘teologizzano’” senza mediazioni, e “leggila piano piano”, cioè, “parla con lei”. Ovviamente ne avevo già sentito parlare, ma, come spesso capita, mi frenava il troppo che se ne diceva. E il mio amico aveva ragione con ambedue i suggerimenti.  Alle antologie manca qualcosa e spesso è proprio la dimensione dell’eros a uscirne sminuita. L’edizione integrale in lingua italiana è quella di Adelphi, uscita nel 2012 e ormai divenuta un classico. Leggerla piano non è stato difficile, perché con i diari di Etty vien spontaneo dialogare ed è un conversare a bassa voce, quasi un colloquio d’amore che matura a poco a poco.



Non si può correre su quelle righe: le leggi e ritorni a qualche pagina prima, a cercare risposte alle domande che via via ti suscitano; le leggi, e con lei rivivi sentimenti profondi, riscopri la dimensione misteriosa di un eros vissuto con tutti i suoi contrasti, ma capace di innalzarti al di sopra del prevedibile; le leggi, e ti senti chiedere di provare a essere più autentico.



Non è semplicemente un altro testo su un’altra vittima dell’olocausto, ma la presa d’atto, giorno per giorno, di come un’anima sincera con se stessa ha vissuto quel tempo “prima di Auschwitz”, quella quotidianità fatta di limitazioni esteriori crescenti, ma di un’interiorità che non ha mai smesso di cercare e di amare.

Ecco, appunto: l’anima. Potrebbe sembrare un dettaglio in un’opera a proposito della quale già tanto è stato detto, ma quello di Etty è precisamente il diario di un’anima che scopre il proprio essere come relazione. In teologia a proposito delle persone della Santissima Trinità si parla di “relazioni sussistenti”, quasi una contraddizione per l’aristotelismo più rigido, visto che per esso la “relazione” è solo una categoria, ma ci aveva già pensato san Tommaso ad aggiungere al termine quel participio: “sussistente”, che spiega che una relazione autentica può esistere solo in quanto amore e, dunque, come abbandono in un’alterità.



Nulla e nessuno è se stesso, se non in relazione ad altro, ed è la misura di questo altro a far cominciare e continuare il viaggio interiore alla scoperta dell’anima. La svolta in quello di Hillesum coincide con l’avvio nel 1941 di un lavoro di analisi con lo psicoanalista junghiano Julius Spier, con cui presto sviluppò anche una profonda vicenda sentimentale. Come Etty, anche Spier era esponente di quella ebraicità mitteleuropea perfettamente integrata nella cultura germanofona del tempo. Personalità forte e originalissima, Spier aveva lasciato la Germania per l’Olanda dopo il divorzio dalla moglie “ariana” ed era noto per i suoi metodi di chiropata.

Fu lui a introdurre, a poco a poco, Etty alla lettura di sant’Agostino e del Nuovo Testamento, parallelamente ai suoi amatissimi Rainer Maria Rilke e Carl Gustav Jung. In Hillesum questo viaggio intellettuale e interiore non è mai contrapposto all’eros, che è appunto una chiamata a scoprire il proprio Sé nell’Altro. In una Amsterdam occupata dai nazisti e con crescenti limitazioni nella possibilità di muoversi e vivere liberamente, Etty visse questa relazione con Spier (che aveva parecchi più anni di lei) come una scoperta di sé nell’altro e, soprattutto, nella sua finitudine.

Fu una storia complessa, dato che Spier era fidanzato con Hertha Levi, che allora viveva a Londra, ed Etty aveva col tempo avviato una relazione con Han Wegerif, un vedovo suo padrone di casa, presso cui abitava, svolgendo anche qualche lavoro come domestica. Fu soprattutto un percorso che vide Etty maturare sempre di più la consapevolezza di sé ed aprirsi a nuovi orizzonti nella dedizione all’altro sofferente.

Julius Spier non era solo uno psicoanalista, ma un uomo dalla profonda spiritualità, per cui la mente, la psiche e l’anima non solo non potevano essere separate, ma si condizionavano e implicavano profondamente nel disegno della personalità umana. Entrambi erano ebrei “laici”, ma tra le “cure” che Spier raccomandò alla ragazza “che non riusciva a inginocchiarsi” un elemento decisivo era dato proprio dalla preghiera. Così scrive Etty il 14 luglio 1942: “È riuscito a chiamarmi da un telefono nelle vicinanze, oggi pomeriggio, e mi ha detto tra l’altro: ‘Questa sera dobbiamo pregare intensamente’ (…). Eppure stasera sono, malgrado tutto, corsa da lui”. A volte, tanto ad alcuni psicologi che ad alcuni uomini di Chiesa non è chiara la relazione tra psiche e anima spirituale e, paradossalmente, i diari di Etty – laica ed emancipata – riescono a essere una guida preziosa proprio per ritrovare l’unità nella distinzione, che è come andare alla scoperta di una dimensione autenticamente umana dell’esistenza e del suo destino. Davvero bisogna imparare a distinguere per unire, e come lo psicologo non può ridurre l’anima alla dimensione psichica oggetto dell’analisi, così l’uomo di Chiesa non può negare la relativa autonomia della dimensione psichica che è, poi, tra l’altro, una delle conquiste del concilio Vaticano II (e del nuovo Catechismo) con la giusta stima finalmente attribuita alle scienze umane e a quella dimensione della personalità di cui non ci è dato disporre in piena consapevolezza.

Così scrive Etty, poco dopo la morte di Spier, a proposito dell’anima, il giorno 11 ottobre 1942: “L’età dell’anima è diversa da quella registrata all’anagrafe. Credo che l’anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa età non cambi più. Si può nascere con un’anima che ha dodici anni. E quando si hanno ottant’anni quell’anima ne ha ancora dodici (…). Credo che l’anima sia la parte più inconscia dell’uomo, soprattutto in Occidente; penso che un orientale ‘viva’ la propria anima molto di più. L’occidentale non sa bene che farsene e se ne vergogna come di una cosa immorale. L’anima è diversa da ciò che chiamiamo ‘sentimento’. Ci sono persone che hanno molto ‘sentimento’ ma poca anima. (…). Un’anima è fatta di fuoco e di cristalli di rocca. È una cosa molto severa e dura in senso veterotestamentario, ma è anche dolce come il gesto delicato con cui la punta delle sue dita sfiorava le mie ciglia”.

Julius Spier morì il 15 settembre 1942, il giorno prima di essere inviato al campo di smistamento di Westerbork, in Olanda, punto di partenza per Auschwitz. Etty Hillesum morì ad Auschwitz, internata qualche settimana più tardi, dopo pochi mesi di prigionia.

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