Federico Faggin è uno degli scienziati, e anche degli imprenditori italiani più originali, e assolutamente di maggior successo. È il “padre” dei microprocessori con i quali “ragionano” i nostri computer, ovvero la macchina tecnologica che da cinquant’anni sostiene tutta l’attività umana, industriale e no. Nel 1986 ha co-fondato Synaptics, ditta con cui ha sviluppato i primi touchpad e touchscreen. “Senza di lui – ha detto Bill Gates – la Silicon Valley non sarebbe altro che una valle”. Nel 2010 ha ricevuto la Medaglia Nazionale americana per la Tecnologia e l’Innovazione dal presidente Barack Obama. È Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, eppure da noi non è ancora conosciuto come merita.
Da trent’anni la vita di Faggin ha subito una svolta: nel 2011 ha fondato la Federico and Elvia Faggin Foundation, organizzazione no-profit dedicata allo studio scientifico della coscienza. Mondadori ha pubblicato gli esiti delle sue ricerche in Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura (2022), e ora ripubblica Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono (2024), in cui riflette sulle proprie domande esistenziali, sulla morte, sulla natura di un Principio supremo che chiama Uno.
Tenendo assieme mentalità scientifica e una ricerca quasi metafisica, Faggin suggerisce una inedita fisica del mondo interiore che ha profonde, sorprendenti assonanze con le antiche filosofie di Plotino e di Leibniz. In un certo senso, sta tentando una sorta di “fisica dell’ineffabile”, usando gli strumenti della conoscenza degli ultimi due secoli ma indirizzandola verso territori nuovi, da qualcuno intuiti e tuttavia sostanzialmente vergini per il pensiero contemporaneo. E lancia anche un allarme: “L’avvento dell’Intelligenza artificiale – dice –, combinato con i principi materialisti e riduzionisti che considerano l’uomo una macchina, favorisce una forma di scientismo che sta portando la società umana su una china pericolosa. Se ci consideriamo macchine, saremo prima o poi superati dalle macchine costruite da chi potrebbe controllarci. Per questo è necessaria una nuova scienza che includa la spiritualità e una nuova spiritualità che includa la scienza”. Bisogna “liberarci dai presupposti errati del pensiero materialista e partire da altre ipotesi, che si concilino con le proprietà strabilianti della fisica quantistica. È proprio indagando l’‘assurdità’ dell’entanglement quantistico, del libero arbitrio e della coscienza, fenomeni che la fisica non riesce a spiegare”, che si potrà iniziare a capire più integralmente l’esperienza umana.
Tutto è partito da un momento di crisi personale, ha raccontato in una bella intervista con Marcello Foa e Giorgio Gandola per Radio1 Rai (ora in podcast su Raiplay). E da quella che definisce come “un’esperienza straordinaria di coscienza” avvenuta nel 1990, “che mi ha fatto capire che quello che io sono non era assolutamente quello che la scienza dice”.
Paradossalmente oggi la scienza, il punto di arrivo più alto, dell’autocoscienza umana, finisce per farci velo davanti alle cose più importanti e più interessanti: “Lo scientismo ci definisce macchine solo perché ha eliminato tutto ciò che macchina non è, ovvero i sentimenti, la coscienza, la forza interiore, la determinazione, il coraggio”. La fisica classica, dice in sostanza Faggin nei suoi libri, circoscrive l’esperienza a tutto ciò che avviene nello spazio-tempo e a ciò che è misurabile. Invece la fisica quantistica, “dalla quale deriva la fisica classica”, come una sua sottospecie, da un centinaio d’anni ha iniziato a dirci molto di più sulla realtà”, e la sua natura non-deterministica.
Nella cultura contemporanea “l’ego si è identificato con il corpo, crede di essere il corpo. Ma noi siamo di più. Noi siamo l’universo che osserva se stesso a partire da un punto di vista. Siamo parti integranti dell’universo e al tempo stesso siamo un punto di vista unico e originale su di esso”: è evidente, per chi mastica un po’ di filosofia, l’assonanza di queste parole con le idee di Leibniz, altro eminente scienziato, vissuto agli albori dell’epoca moderna.
La cosa straordinaria è che Faggin è arrivato a certe riflessioni proprio dall’interno della cultura contemporanea, quindi attraverso una strada che di solito porta altrove, e non ripercorrendo le strade antiche. Forse in questo caso può essere persino inesatto parlare di “spiritualità” (come fa lui stesso); le sue riflessioni hanno più l’aspetto di un ulteriore livello di conoscenza, basato su dati di frontiera.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI